Alleati degli Usa, fedeli alla Nato ed europeisti sempre meno convinti. Come (non è molto) cambiata la nostra strategia. Con qualche eccezione. Un articolo per il giornale "La Parola"
Sostenere, come spesso accade, che la politica estera italiana non esiste è un giudizio frettoloso e fuorviante. Anche in presenza di cambi di governo che si rifanno – o dovrebbero rifarsi - a diversi orientamenti politici, l’Italia ha una politica estera da che è una nazione e, se si esclude la parentesi fascista, ha una sua sostanziale continuità a partire soprattutto dal Dopoguerra. Come tutti i Paesi, la strategia fuori casa dipende dalla scelta delle alleanze, del modello di sviluppo e di quello di difesa. Da quando - alla fine degli anni Quaranta - la leva del comando era nelle mani del partito cattolico, all’oggi dell’attuale governo giallo verde – passando per il centrosinistra della prima Repubblica e il centrodestra della seconda - le alleanze internazionali sono rimaste le stesse e così i modelli di difesa e sviluppo. Con due grosse eccezioni, se si vuole. Forse tre.
La prima è stata determinata dalla scelta del governo Berlusconi di rompere la consueta alleanza col mondo arabo: una scelta dettata anche dal nostro maggior alleato (gli Stati Uniti) che ha messo in difficoltà l’Eni, l'altro grande attore ufficioso della nostra politica estera e il garante della nostra autosufficienza energetica. La seconda, è stata l’adesione – inizialmente molto calda anche per l’eredità intellettuale di uomini come Altiero Spinelli – all’idea di un’Europa unita che potesse dunque iniziare una nuova stagione. Un’adesione che ora sta subendo un raffreddamento il che è sicuramente uno degli elementi più sostanziali (e pericolosi) di come sta cambiando la nostra politica estera. Ma al di là di questi due fattori (e di qualche isolato episodio) l’Italia ha dimostrato una continuità notevole sia nelle alleanze sia nei modelli di sviluppo e difesa. L’allineamento con gli americani si è rafforzato, sia nelle alleanze economiche sia in quelle politiche (con l'unico strappo sulla vicenda iraniana guidato però non dall’Italia ma dai nostri maggiori partner europei) sia in quelle militari, col nostro conseguente coinvolgimento in conflitti e guerre che – all'interno della Nato – hanno portato i nostri soldati in giro per il mondo, dall’Afghanistan ai Balcani. Questa continuità non si è mai interrotta ed eventuali strappi (da Sigonella all’Iran) sono sempre rientrati poi nell’adesione piatta alle logiche del nostro alleato maggiore. Un’adesione che non ha mai tradito (sia con governi di centrodestra sia con governi di centrosinistra) la direzione di marcia indicata da Washington, dalle sanzioni alle spedizioni militari.
Un recente elemento di rottura interessante – è il terzo punto del nostro discorso – potrebbe rivelarsi il recente accordo con i cinesi per rientrare nel progetto della Via della seta, progetto molto osteggiato dagli americani e guardato ancora con sospetto dai partner europei (che hanno comunque in molti casi già stretto rapporti bilaterali coi cinesi). In questo l’attuale governo italiano, esecrabile sulle politiche migratorie, sulla gestione del dossier libico e nelle relazioni con gli alleati europei, ha dimostrato un certo coraggio sempre che se ne abbia poi altrettanto nel gestirlo con correttezza (vale a dire in accordo con gli alleati europei) e con le giuste garanzie.
Nel quadro di continuità di una politica estera per lo più afona e spesso incapace di iniziativa autonome (vedi Afghanistan e Libia) o di significative rotture quando il nostro maggior alleati non fa di fatto i nostri interessi (rapporti col mondo arabo, Iran), la carta cinese sarà forse ricordata come l’unica idea significativa e innovativa di un governo che – come tutti gli altri e seppur sbandierando di continuo la parola cambiamento – ha sostanzialmente seguito la via maestra della continuità riuscendo in molti casi a rendere solo più critiche le nostre relazioni con i Paesi europei, quelli su cui in realtà dovremmo presumibilmente contare di più.
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