Al centro un modello di Zolaykha Sotto, su manichino |
Zolaykha Sherzad ha preso il chapan, un tipico mantello maschile, e l’ha trasformato in un capo femminile. Non è uno scherzo fare una cosa del genere in una società tradizionale, pur se i capi di Zolaykha son destinati a un pubblico d’élite. Significa trasporre nella moda il coraggio del cambiamento. Introdurre una confusione di genere che travalica il genere e mescola maschile e femminile. Bello, oltreché interessante e coraggioso.
La giornata è stata l’occasione di altri piacevoli incontri: la mia amica Soraya d’Afghanistan, nipote di re Amanullah e, come lui, amata dalle gente semplice perché la principessa si dà da fare per promuovere il lavoro delle donne afgane. Senza retorica e con piccoli gesti quotidiani, come raccontare quello che fanno nei tanti incontri dove viene invitata. Poi ho rivisto Basir, un afganone alto alto che gestisce Samarkand, ristorante orientale alla Bovisa in cui mi riprometto di andare al più presto. La sua cucina mescola Marco Polo e la Via della seta, piatti afgani con la tradizione dell’Asia centrale. Infine ho avuto modo di stringere la mano a due persone che ho solo letto o ascoltato alla radio: Atai Walimohammad (“Ho rifiutato il paradiso per non uccidere” storia della sua vita pubblicata con Multimage) che sta mandando alle stampe un romanzo nientemeno che con Feltrinelli. E Lorenzo Cremonesi, inviatone del Corsera, uno che ha fatto la storia del giornalismo italiano con un coraggio da leone. L’ho incrociato spesso ma non ci eravamo mai presentati. Ora il suo giornale gli preferisce la storia del bikini di qualche modella o gli amorazzi dei calciatori, ma chi ha letto i suoi articoli o lo ha ascoltato a Radio Popolare sa che i bikini passano, i grandi racconti no. Son tornato a casa soddisfatto. Grazie Usaid.
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