Zalmay Khalilzad: il negoziatore |
Benché ormai si negozi più o meno apertamente da oltre un anno e da alcuni mesi americani e talebani si siano incontrati più volte, concordando su qualche punto, la guerra in Afghanistan non si è fermata e la speranza di una tregua – chiesta a gran voce dalla società civile e dal Movimento dei marciatori di pace – resta un’illusione su cui si sperava il settimo round negoziale avrebbe battuto un colpo. Gli attentati con bombe si sono susseguiti negli ultimi mesi con ritmo incalzante senza risparmiare i civili. Il 31 di maggio – per ricordare i fatti più recenti – un'esplosione a Kabul ha ucciso quattro persone. Pochi giorni dopo, il 2 giugno, altre quattro bombe esplodono nella capitale. Il giorno dopo ancora, il 3 giugno, un'esplosione colpisce un autobus di impiegati governativi uccidendone cinque. E se la guerra colpisce la città, specie quando si vuole una cassa di risonanza internazionale, il conflitto continua nelle campagne e nei piccoli centri sebbene – magra consolazione – abbia causato meno vittime tra i civili nei primi sei mesi di quest'anno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso: Secondo The Civilian Protection Advocacy Group 1.981 civili sono stati uccisi e feriti tra gennaio e giugno 2019 mentre il numero era 2.639 durante lo stesso periodo l'anno scorso. Secondo il rapporto, le vittime si sono notevolmente ridotte a giugno, con 63 morti e 134 feriti registrati durante il mese. Il declino viene attribuito al decrescere del numero di attacchi suicidi.
La guerriglia ora privilegia le bombe.
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