Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

martedì 24 marzo 2020

Battaglia birmana contro il climate change

U Aung Toe (settimo da sinistra) nel suo villaggio
U Aung Toe, villaggio di Twin Phyu Yoe nella regione centrale di Magway, l’effetto serra lo conosce bene. Vive in un’area del Myanmar chiamata la “zona secca” e non c’è termine più appropriato quando attraversate distese di campi ricoperti di una sabbia fine dove far crescere le piante è una vera impresa. “Negli ultimi cinque-dieci anni le cose – dice - sono peggiorate: almeno prima c’era un ciclo di piogge abbastanza stabile. Iniziava ad aprile, un anno bene, un anno peggio. Ma adesso… ad aprile non piove più”.

I campi del Magway producono arachidi, fagioli e un sesamo molto richiesto soprattutto dal mercato indiano e cinese. La terra, che ora viene preparata per la semina, è punteggiata da palma da olio e da qualche rada pianta di mango di una qualità non commerciabile. Gli scarsissimi pali della luce, la cisterna per l’acqua piovana e una fila di donne con secchi attaccati al bilanciere che vengono dall’unico pozzo comune della zona, la dicono lunga su come si vive qui. C’è anche qualche vacca,
Da sn : U Lin Myat, Andrea Ricci e Ko Mio
maiali, polli. E buoi, per lavorare un terreno ostile come si fa da secoli in una delle aree del Myanmar più esposte al cambiamento climatico. Tutto ciò per far magari un solo raccolto anziché due o perderlo se il regime di piogge fa brutti scherzi.

In più c’è un problema comune a gran parte dell’Asia: “Molti contadini – spiega U Aung Toe – non hanno carte che dimostrino la proprietà della terra”. Ciò in sostanza, spiega Ko Mio Min Aung – un esperto di agraria e sistemi idrici - “significa per loro non avere accesso al credito perché non c’è alcuna garanzia”. Se non piove o piove troppo nel momento sbagliato, si rischia ad esempio di non avere abbastanza semente per l’anno successivo.

Ko Mio lavora ormai da oltre un decennio col Cesvi, una Ong di Bergamo che è presente in Myanmar dal 2001. Poiché i finanziamenti in cooperazione sono un po’ come le piogge – vanno e vengono secondo i capricci dei governi – è stato lui a mantenere il presidio in questi anni anche quando i soldi non c’erano. Adesso però sul piatto ci sono due milioni di euro della Cooperazione italiana per un progetto di tre anni. Prima di farcelo spiegare andiamo con Ko Mio a incontrare U Lin Myat, il direttore del Dipartimento regionale di agricoltura del Magway. E’ un signore con un sorriso aperto e una discreta eleganza. Parla poco ma non ha reticenze: “I nostri prodotti interessano anche il mercato internazionale: Cina e India in primis ma anche altri Paesi asiatici. Vendere all’estero però non è
A pochi chilometri: Bagan, patrimonio Unesco
dell’umanità. Struggente bellezza
 in una terra inospitale e desertificata
facile: costo della logistica, intermediari e soprattutto standard di garanzia”.

Tutto ciò abbassa i profitti e rende i contadini ostaggio oltreché del mercato, dei suoi intermediari. “Il costo di produzione qui è ancora troppo elevato così come i materiali che importiamo. Infine c’è l’impatto climatico che ha aggravato la situazione. Se piove poco i risultati sono scarsi e se piove troppo, nel momento sbagliato, il raccolto si ammala per problemi legati allo stoccaggio e alla diffusione di malattie fungine”.

U Lin Myat è di quelli che credono nella Cooperazione internazionale. “Facciamo di tutto per favorire investimenti, tecnologia, pratiche per alzare gli standard di quantità e qualità”.... (continua)

Leggi tutto su RepubblicaOnline

Nessun commento: