Riuniti a Naypyidaw per tre giorni, dal 19 al 21 agosto, rappresentanti del governo, delle forze armate (Tatmadaw), delle organizzazioni etniche armate (Eao) e dei partiti politici birmani hanno siglato un nuovo accordo al termine della quarta sessione della “Conferenza sulla pace di Panglong del 21°secolo” - come è stato chiamato il processo di pace interno al Myanmar - che si è conclusa dieci giorni fa nella capitale. Si tratta di una ventina di capitoli che si concentrano sulla continuazione e attuazione del cessate-il-fuoco (Nationwide Ceasefire Agreement o Nca, siglato per la prima volta nel 2015) e sulla definizione dei principi guida per il tipo di unione che il Myanmar prefigura nel suo futuro istituzionale: una forma di federalismo che, riconoscendo le diverse identità etniche, formuli un quadro istituzionale che salvi l'integrità del Myanmar ma restituisca dignità alle singole realtà da cui è costituito. Un processo difficile e per forza graduale e forse ancora più complicato del cessate-il-fuoco. La leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) Aung San Suu Kyi lo ha definito "un nuovo piano per la costruzione di un'unione federale democratica dopo il 2020". Benché in linea di massima il summit si sia alla fine concluso che un accordo, i nodi sono tanti anche perché molto dipenderà dalle elezione legislative di novembre e dagli emendamenti costituzionali necessari per cambiare la forma dello Stato.
Per quel che riguarda il cessate-il-fuoco, al momento siglato da dieci organizzazioni armate, mancano all’appello altri sette schieramenti locali con i quali è però in corso il negoziato. Con altri ancora – come nel caso di gruppi quali l’Arakan Army – la distanza è ancora molta ma dall’incontro di Naypyidaw è quantomeno uscita l’indicazione che il governo intenderebbe prima o poi avviare un negoziato anche con le formazioni con cui la guerra continua, soprattutto in alcune aree del Paese (Rakhine e Chin in particolare). Dei 20 punti dell’accordo, 15 riguardano il cessate-il-fuoco: posizionamento e movimento di truppe, confini e risoluzione di una serie di “malintesi” che in passato hanno portato a incidenti anche in aree “pacificate”.
Sia per quanto riguarda il cessate-il-fuoco, sia per quanto riguarda il negoziato con i gruppi armati più radicali sia per ciò che compete agli emendamenti costituzionali, la Lega deve comunque vedersela con i militari che tendono a frenare pulsioni e scelte del governo civile anche perché l'attuale Costituzione consegna all’esercito un potere fondamentale e inamovibile. La Lega ha già cercato senza successo di modificare la Carta per limitare il ruolo di Tatmadaw ma ci si aspetta che le elezioni possano in qualche modo influire sugli equilibri, favorendo scelte più democratiche che restano però limitate proprio dalla Costituzione: riserva infatti ai militari il 25% dei seggi in parlamento che garantisce loro un sostanziale diritto di veto.
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