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martedì 10 novembre 2020

La vittoria (amara) di Aung San Suu Kyi


Anche se i risultati definitivi devono confermarlo, il portavoce della Lega nazionale per la democrazia ne era già sicuro sin da ieri: “Abbiamo avuto un risultato migliore rispetto al 2015” ha detto alla stampa locale U Myo Nyunt mentre arrivavano i conteggi dalle circoscrizioni nella prima elezione gestita da un governo birmano di civili: nel Kayn la Lnd avrebbe vinto tutti i seggi in palio tranne due; molto bene anche nel Kachin e nella capitale Naypyidaw dove li avrebbe addirittura vinti tutti tranne uno. A Yangon ci si aspetta il pieno e già si sa che la guida del partito, la Nobel Aung San Suu Kyi, è già stata rieletta  alla Camera bassa nella township di Kawhmu a Yangon, l’ex capitale dove sono andate a votare milioni di persone e dove già ci sono state le prime manifestazioni pubbliche di giubilo nonostante la Lega calmi gli animi  causa Covid e ricordi la necessità della distanza fisica. Nello Stato Mon è  andata meno bene e la Lega ha perso terreno a favore dei partiti locali ma ha guadagnato comunque 34 seggi dei 45 attribuiti all’area. E cosi nello Stato nordoccidentale del Rakhine, dove il pieno lo ha fatto l’Arakan National Party forse anche perché la Commissione elettorale aveva deciso di chiudere 9 delle 17 circoscrizioni elettorali per motivi di sicurezza in un territorio dove da due anni si affrontano stabilmente l’esercito birmano (Tatmadaw) e il gruppo armato autonomista Arakan Army. Una decisione che ha privato oltre un milione di persone del diritto di voto e dunque di rappresentanza.

Iniziata domenica mattina alle 6 e conclusasi alle 4 del pomeriggio, la tornata elettorale si è  svolta in un clima pacifico con pochi incidenti minori, dovuti alle restrizioni del Covid o a situazioni in cui la gente non è riuscita a votare.  Non hanno ovviamente potuto votare nemmeno i Rohingya birmani, espulsi nel pogrom del 2017 e che ora ingrossano le fila di quasi 900mila rifugiati in attesa di un incerto futuro nei campi profughi che li ospitano inl Bangladesh. Non di meno, la Lega ha presentato questa volta due candidati musulmani (nel 2015 nessuno), entrambi eletti. Ovviamente non sono rohingya, minoranza esclusa già in passata dal diritto di voto. E’, seppur minuscolo, un passo avanti ma che difficilmente potrà aiutare chi è scappato all’estero o quei 130mila rohingya che vivono blindati  nei campi profughi-prigione (cosi li definisce Human Rights Watch) del Rakhine. 

La vittoria ormai certa consegna alla Lega la possibilità di tornare al governo e rafforza un processo democratico lento e difficile, sempre minacciato dalla spessa ombra degli uomini in divisa, protetti da una Costituzione fatta su misura nel 2008 che consegna  loro de jure sia i tre ministeri chiave di  Interno, Difesa e Frontiere, sia un quarto dei seggi parlamentari. Dei 440 attributi alla Pyithu Hluttaw – la Camera bassa – 110 verranno infatti scelti o riconfermati dal Comandante in Capo dei Servizi di Difesa. Stessa sorte per la Amyotha Hluttaw (Camera delle nazionalità o  Camera Alta) che avrà, su 224 seggi,  56 scranni di nomina militare.

Questo articolo e' uscito oggi su ilmanifesto

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