Era un numero un tantino per eccesso, visto che i casi noti in India di adesione all’Isis (maschi e femmine) si ferma a 66 e i tre oggetto del film sono assai diversi da come il regista li avrebbe poi raccontati.
Quando il lungometraggio è uscito nelle sale il 5 maggio, la reazione è stata rapida e diffusa, creando in men che non si dica una spaccatura tra la «minoranza» musulmana (170 milioni) e la maggioranza indù, in un Paese dove una scintilla etnico-religiosa infiamma rapidamente la prateria, specie se al governo del Paese c’è un partito ultranazionalista e identitario. Le fiamme sono divampate. Il film di Sen è una pellicola a effetto con tutti gli elementi per colpire il pubblico cui non riesce difficile individuare i cattivissimi colpevoli. Le tre ragazze, vittime di un complotto per trasferirle nei ranghi del Califfato, sono «fragili» dal punto di vista religioso; una è cristiana e due sono delle indù poco praticanti tanto che una di loro, in uno Stato famoso per essere di sinistra, si vede in un fotogramma con alle spalle un’effigie di Lenin, Marx ed Engels. Grazie a droghe, provocazioni maschiliste studiate ad arte e all’abile parlantina di una coetanea musulmana («Solo Allah e il velo possono proteggervi»), le tre giovani si avvicinano all’islam, non sempre con convinzione.
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