Il mio arrivo a Sihanoukville, per un lavoro che non è l’oggetto di questo post, è coinciso con la discesa negli inferi della via dov’è situato il mio albergo. E’ una stradina di bordelli dove l’età media mi sembra – se lo è – di poco superiore alla maggiore età.
Ci son file di ragazzine apollaiate su pancacci che si fanno le unghie o cuciono un vestito in attesa di clienti. La prostituzione in Cambogia non è una novità, ma qui colpisce l’insieme di sporcizia, rifiuti accumulati e cani randagi che mordono questa perpendicolare di una grande arteria di una “città cinese” dove l’elemento khmer è piuttosto defilato. Scritte cinesi, negozi cinesi, casinò cinesi, bordelli cinesi. Mi ha assalito un certo malessere che sa di impotenza. Così che mi è sembrato un raggio di sole in questo inferno a cielo aperto (la città ha una cattiva fama criminale non certo imputabile solo ai cinesi), l’incontro con Jen Hoggett, una giovane donna del Regno Unito che vive qua da diversi anni e che lavora per una piccola Ong britannica che si chiama Goodwill Cambodia. Che gestisce due centri scolastici per bambini dai due ai 14 anni.Mentre siamo d’accordo con Jen che domani andrò a vedere anche l’altra scuola (che ha in parte ereditato i pargoli di Shine Cambodia, una Ong che ha dovuto chiudere i battenti per mancanza di denaro) penso alle difficoltà che incontra una piccola associazione che dipende dal buon cuore di qualche britannico. Così che c’è una lotta per la sopravvivenza, non solo per i cambogiani poveri ma anche per chi cerca di aiutarli.
Per una volta ho lasciato da parte il cinismo che contraddistingue il nostro lavoro. Altrimenti passeremmo il tempo a piangere sulle miserie del mondo e a maledire la nostra impotenza. E ho scelto di dedicare parte delle mie giornate qui se non altro a vedere le facce di questi ragazzini (sono circa 150) e di questi maestri/e cambogiani che fanno parte dello staff di Godwill Cambodia (9 persone). Mi hanno accolto con grandi sorrisi e un saluto educato d’altro tempi che posto qui sotto. Giovani volti pieni di speranza che hanno fatto sorridere anche me. E ricordato, fuor di retorica, che la speranza è davvero l’ultima a morire.
Anche nell’inferno di Sihanoukville.
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