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sabato 24 maggio 2008

L'AMBIGUA SVOLTA DEI GENERALI BIRMANI



La prima domanda legittima è se c'è da crederci. Non erano infatti passati che pochi minuti dalla conferenza stampa di Ban ki-moon dopo il suo incontro con Tan Shwe (nella foto), il generale dei generali birmani, che alcuni colossi dell'umanitario, come Medici senza frontiere, esprimevano le loro riserve sulla “svolta” della giunta che, dice il segretario dell'Onu di ritorno dalla capitale fantasma Napidaw, è pronta ad aprire le porte all'aiuto umanitario. E anche il compassato dispaccio della Bbc, l'emittente britannica che per eccesso di zelo cita sempre le fonti ufficiali quando produce un bilancio delle vittime, ricorda che i birmani hanno un “record” nel tradire le promesse fatte alla comunità internazionale. Un Guinness di cui i generali possono andar fieri. Ma quali sono le promesse?
Ban, sbarcato l'altro ieri in Birmania per cercare di convincere il regime militare ad aprirsi agli aiuti internazionali (a tre settimane dal passaggio del ciclone Nargis che ha causato oltre 133mila tra morti e dispersi e 2.5 milioni di sinistrati) si è incontrato ieri per la prima volta col capo dei capi, il generale Tan Shwe. Non era mai, è bene ricordarlo, nemmeno riuscito a parlare al telefono col generalissimo. Prima dell'incontro a Ban era stato “permesso” visitare alcune zone totalmente devastate dal ciclone nel delta dell'Irrawaddy (ma – dicono le agenzie - sotto stretta scorta di esponenti del regime). Infine la visita nella neo capitale nel centro del paese. Ban Ki-moon ha riferito che il generale Than Shwe “ha acconsentito a fare entrare nel paese tutti i soccorritori” che da settimane attendono ai confini. Alla domanda se la decisione possa rappresentare una svolta nella gestione dei soccorsi, Ban ha risposto che pensa di si, un modo diplomatico per non compromettersi troppo. Per il segretario generale dell'Onu si è trattato comunque di un “buon incontro” in cui Ban ha registrato una “posizione assai morbida” e in cui il generale ha accettato che l'aeroporto di Rangoon sia utilizzato come “piattaforma internazionale per la distribuzione dei soccorsi”. Subito dopo però una portavoce delle Nazioni Unite ha detto, parlando con i giornalisti a Ginevra, che non si conoscono ancora le modalità dell'apertura delle autorità birmane. Comunque, ha aggiunto, la qualifiche delle persone che potranno entrare conterà più del loro numero. Dall'avvio delle operazioni di soccorso, 133 aerei dall'estero sono arrivati in Birmania e solo un centinaio di funzionari umanitari hanno finora ottenuto un visto di ingresso.
Ma la svolta, se è reale, a cosa si deve? Forse la giunta è stata mossa da considerazioni politiche, forse da uno spirito di emulazione dei cinesi visto che il lutto nazionale è stato decretato in Birmania il giorno dopo che Pechino aveva fatto lo stesso per via del sisma. La giunta lavora a un'operazione di immagine nella quale evidentemente rientra il fatto che ieri ha consentito ad Aung San Suu Kyi di votare per il contestato referendum sulla costituzione, già vinto per altro con percentuali “birmane” e sul quale nei prossimi giorni si esprimeranno i distretti nei quali il suffragio era stato rinviato. In ballo non c'è solo la faccia da mostrare al mondo (un mondo ”che vi osserva” ha detto ai birmani Ban Ki-moon) ma anche la Conferenza dei donatori di domenica prossima. Bruxelles ha confermato tutti i suoi impegni ma probabilmente vuole vedere fino a che punto la giunta manterrà le promesse. Una giunta che sa bene che l'Onu ha ricevuto sinora circa il 25 % de 201 milioni di dollari chiesti ai paesi donatori per finanziare le operazione in favore dei sinistrati dell'Irrawaddy. Senza un qualche segnale questa cifra rischia di rimanere al palo. E anche i generali sanno che un disastro ben maneggiato può persino essere un'occasione di sviluppo.

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