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domenica 17 agosto 2008
LE VERITA' NASCOSTE
Le informazioni che arrivano dall'Afghanistan sono spesso lacunose e incomplete. Logico in un paese dove la copertura mediatica è molto bassa e per il quale ci accontentiamo di spezzoni di notizie in cui il dato principale è la violenza. Raramente conosciamo i fatti nella loro profondità in modo che sia possibile rifletterci.
Così è accaduto anche per la morte di tre operatrici umanitarie occidentali e del loro autista afgano dell'International Rescue Committee che, il 13 agosto, sono state crivellate di colpi sulla strada tra Gardez e Kabul. Le agenzie di stampa ci hanno riempito di particolari sulla loro nazionalità, sui numeri delle violenze in corso in Afghanistan e sulla rivendicazione dei talebani che hanno ammesso di essere stati gli esecutori. Il Financial Times ha persino citato un anonimo comandante talebano che rivendicava un tentativo di sequestro, notizia - che lo stesso FT diceva priva di altri riscontri - onestamente bizzarra: non si crivella di colpi un'auto di umanitari, che com'è noto viaggiano disarmati, per sequestrarli. Ma in realtà le cose sarebbero andate assai diversamente. E non l'avremmo saputo se un giornalista dell'Agenzia Italia, recuperando un'abitudine che sembra ormai perduta, non avesse voluto fare un supplemento d'indagine per saperne di più. Alzando il telefono anziché limitandosi, come capita ormai sempre più spesso e per svariati motivi che non staremo a ricordare, a tradurre i resoconti in inglese di qualche primaria major dell'informazione.
L'Agi ha così appreso che, il giorno dopo l'omicidio, una sessantina di responsabili di Ong straniere impegnate in Afghanistan si erano riunite a Kabul, convocate dall'Afghan National Security Organisation, “...per fare il punto sulla sicurezza degli operatori umanitari all'indomani dell'uccisione di tre cooperanti straniere e del loro autista afghano, rivendicata dai talebani”. Fresca di questa riunione, Monica Matarazzo, capo missione in Afghanistan dell'italiana Intersos, spiegava all'Agi che "...l'assenza di un'agenzia indipendente per la tutela degli operatori umanitari come l'Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) e la confusione tra ruoli - umanitario e militare – generato nella popolazione dall'atteggiamento ambiguo tenuto dalle forze armate, sono considerate dalla comunità di Ong cause chiave della loro condizione di insicurezza". L'operatrice umanitaria aggiungeva che "...un'animata riflessione è stata innescata dal messaggio di rivendicazione dell'attentato, in cui i talebani affermano di aver confuso automobili dell'Irc con veicoli militari. Le forze armate utilizzano normalmente le stesse auto bianche usate dalle organizzazioni umanitarie. Sulla questione, il rappresentante speciale dell'Onu in Afghanistan, Kai Eide, ha detto di aver sollevato il problema nelle riunioni di coordinamento con le forze militari presenti nel Paese (Enduring Freedom , Isaf e Prt)".
Questa notizia, apparsa solo sul sito “Agimondo.org”, fornisce una chiave di lettura dell'omicidio del tutto diversa da quella apparsa su tutte le principali agenzie che di quel comunicato riportavano solo la rivendicazione. Ciò non fa dei talebani degli esseri meno spregevoli (per l'uso dei kamikaze ad esempio). Chiarisce però come il “salto di qualità” - colpire volutamente i civili o gli operatori umanitari - non sia ancora avvenuto (anche se non si tratta certo delle prime vittime) come invece la vicenda faceva temere. E come l'antica querelle tra operativi militari e azione umanitaria sia ancora lontana da una soluzione. Con tutto ciò che di grave e drammatico ciò comporta.
La foto è di Romano Martinis: vista (con carro armato) su kabul
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