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martedì 21 ottobre 2008

AGGUATO A KABUL



L'omicidio atipico di un'operatrice umanitaria. I talebani rivendicano l'assassinio di Gayle Williams (nella foto tratta dal sito della Bbc) e un attentato che a Kunduz uccide cinque bambini e due militari Nato tedeschi


Trentaquattro anni, di cui due spesi in Afghanistan nei centri per disabili. Stava andando al suo ufficio di Kabul Gayle Williams, origini sudafricane e passaporto britannico, una casa a Londra. Ma non c'è mai arrivata: alle sette del mattino la cooperante di Serve Afghanistan, una Ong britannica di ispirazione cristiana che lavora nel paese dal 1993, è stata ammazzata a colpi di pistola da due killer in moto. La morte deve essere stata immediata perché quando i suoi colleghi sono arrivati sul posto Gayle era già deceduta, una lunga scia di sangue sul marciapiede.
A poco è servito un inseguimento tardivo nel traffico caotico di una capitale che, soprattutto a quell'ora del mattino, è bloccato da code interminabili di auto, pullman e carretti trainati a mano. La sua morte apre diversi interrogativi. Innanzi tutto si tratta del primo assassinio di un umanitario nella capitale, già teatro di rapimenti e rapine ma mai di questo tipo di killeraggio. E Mike Lyth, il responsabile della “charity” che ha sede in Gran Bretagna, dove vive la mamma di Gayle (che era nata in Sud Africa ma si era poi trasferita con la madre a Londra) ha molti dubbi sulla rivendicazione giunta qualche ora dopo. “Abbiamo assassinato questa donna straniera - e ce ne assumiamo la responsabilità - perché lavorava per un' organizzazione che predica il cristianesimo in Afghanistan”, dice il portavoce talebano Zabiullah Mujahid che telefona alla agenzia France Press per rivendicare l'omicidio. Ma Lyth non ci crede. Non crede alle accuse di “proselitismo” fatte a un'organizzazione nota per aver tradotto libri in braille e per l'assistenza a molti disabili.
Secondo il capo dell'organizzazione caritatevole hanno forse utilizzato “opportunistica mente”, come ha detto a un quotidiano britannico, un azione da sicari che ha forse altre origini. Uomini e donne di Serve Afghanistan non erano di primo pelo: tutte le mattine sceglievano per abitudine strade diverse proprio per evitare rapimenti. Quanto ai talebani resta da vedere se la rivendicazione sia attendibile (altre volte hanno smentito l'uccisione di operatori umanitari) anche perché la galassia jihadista, sempre più infiltrata da banditi, narco e trafficanti di armi, è ormai un puzzle di difficile decifrazione e forse c'è chi ha tutto l'interesse, mentre si muovono passi difficili sulla strada negoziale (dopo i colloqui della Mecca) a mandare a monte anche la più piccola apertura. Certo gli umanitari – anche Save Afghanistan sta pensando di chiudere i battenti – si sentono sotto tiro e sono quantomeno un aspetto dello stillicidio quotidiano della guerra: secondo l'ultimo rapporto dell'ufficio afgano per la sicurezza delle Ong (Anso), nel 2008 sono stati uccisi 28 operatori, cinque dei quali stranieri. Ventisette sono stati rapiti. Nel contempo, quando lo scorso 13 agosto tre donne straniere e il loro autista afgano furono assassinate in un'imboscata a una ventina di chilometri da Kabul, i talebani smentirono che l'azione fosse stata condotta contro gli umanitari e che si era trattato di un errore. Ma nel clima di violenza che attanaglia il paese (nel 2008, dice Anso, ci sono stati 146 episodi di violenza contro le organizzazioni non governative da parte di ribelli o di criminali comuni, 16 in più che nel 2007) ogni giorno diventa sempre più difficile capirne le ragioni e l'origine.
Lo stesso Zabiullah Mujahid, ha comunque rivendicato anche l'attentato compiuto ieri a Kunduz, nel Nord dell'Afghanistan, che ha causato la morte di cinque bambini e di due soldati tedeschi della Nato. Feriti anche un militare e un civile.

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