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martedì 18 novembre 2008

PARADOSSO MILITARE



Quando il terreno e le scomode verità ribaltano il pensiero corrente. E molti pregiudizi. Riflessioni sulla pace e sulla guerra, i militari, i politici e il loro assordante silenzio


Il sogno più bizzarro per un pacifista potrebbe esser quello di stare a braccetto con un generale a una marcia per la pace. E per un generale, quello di sognare appesa, accanto alla biancorossoverde, la bandiera multicolore che ancora sventola a qualche balcone.
Incubi? Paradossi? Forse, certo, senz'altro. Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, i migliori alleati di chi vuole la pace in Afghanistan sono in questo momento proprio i generali. Non tutti e con accenti diversi. Ma se si mettono in fila le dichiarazioni di diversi comandanti militari ne viene fuori un quadro assai diverso da quello che lo stereotipo dipinge. E del resto c'è un perché. I generali, e i soldati che comandano, sono “sul terreno”. E dal terreno la guerra si vede in modo assai meno sfumato che dai palazzi della politica. Si capisce se può o meno essere vinta, se è combattuta per finta o per davvero e soprattutto se l'opzione militare, quella fin qui sbandierata come l'unica necessaria a stabilizzare l'Afghanistan, funziona oppure no. A quanto sembra, no.
La madre di tutte le dichiarazioni è del britannico Mark Carleton-Smith, combattente tutto d'un pezzo e “guerriero” che è difficile tacciare di disfattismo o scarsa conoscenza del terreno. Intervistato in Afghanistan da Christina Lamb, una giornalista del Times che conosce quei territori come le sue tasche, il generale non se la sente di far finta di nulla e dice la sua verità: spiega che, per come va, la guerra coi talebani non può essere vinta e che l'opinione pubblica britannica si deve aspettare non una “vittoria militare decisiva” ma un possibile dialogo col nemico: un accordo, senti senti, coi talebani. Il comandante della 16ma Air Assault Brigade fa mostra di pragmatismo. E' il 5 di ottobre e forse sta soltanto lavorando allo stesso quadro che proprio in quei giorni, a La Mecca, si dipana faticosamente nel primo incontro semi negoziale tra inviati del mullah Omar e di Karzai. Ma il generale non è solo.
Cinque giorni dopo l'ammiraglio Michael Mullen, a capo dello stato maggiore, dice davanti al Congresso degli Stati Uniti che... Continua

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Manulo,
grazie!
La settimana scorsa ero a Ypres (nelle Fiandre), alla cerimonia di commemorazione dei 90 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale. I discorsi delle associazioni (ex combattenti, famiglie di militari caduti, ecc.) e dei militari stessi erano tutti improntati ai valori della pace. Sono rimasta sorpresa, ma soprattutto commossa.
Sul territorio del comune di Ypres nel 14-18 morirono 200.000 soldati britannici ed altrettanti tedeschi: chi li ricordava si rivolgeva direttamente ai morti, ribadendo che abbiamo ancora un debito con loro, morti per quella che gli era stato detto sarebbe stata "la guerra che fa finire tutte le guerre". Le croci nei cimiteri, e il monumento ai 55.000 di cui non fu mai ritrovato il corpo, invece continuano a ricordarci che la guerra è sempre e solo atrocità! E il debito con i caduti non lo avremo estinto finché in qualche parte del mondo ci sarà ancora una guerra.
Parola di soldato!

Un saluto di pace,
Lisa