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sabato 31 gennaio 2009

BULBUL IMMAGINIFICI A KABUL



Lo sguardo si perde fuori dalla finestra di camera mia: vedo le vette dell'Hindukush che circondano la città e i tetti delle case che, in parte e benché qui siamo a Sharenaw, la città nuova, ancora sono fatti col sistema tradizionale: un miscuglio di fango e paglia che riveste gli ampi terrazzi e accompagna le balze delle case con questo intonaco giallastro che ne segue le curve, come se fosse stato lavorato con le mani, anziché la cazzuola. Sono fortunato. Vedo ancora una Kabul in via di rapida estinzione. E adesso che è iniziata cilleh-e-qurd, la seconda parte dell'inverno, il sole e il risveglio della natura cominciano a spandersi nei bagh, nei giardini aihmé sempre più rari in una città che ogni giorno costruisce palazzi nuovi (di dubbio gusto).
Cilleh-e qalon, la prima parte dell'inverno, inizia col nostro solstizio del 21 dicembre e arriva in sostanza fino a fine gennaio. Dura 40 giorni come la fase successiva, cilleh-e-qurd, che segna la transizione di altri 40 giorni che ci porterà fuori dall'inverno. Inverno che, Inshallah, non è stato così rigido come si temeva e, per fortuna, le catastrofiche previsioni umanitarie non si sono avverate.
Da inguaribile romantico, lo ammetto, continuo a inseguire i segni del passato e dell'impossibile che è anche forse un modo per fingere che la guerra sia lontana e che, anche a Kabul, si possa vivere una vita normale: osservando il volo degli uccelli, spiando le gemme sui rami, indovinando suoni e bisbigli di una natura quotidianamente calpestata.
A quanto ho capito l'usignolo (bulbul) non è mai stato di queste parti dove invece dovrebbero abbondare altre specie avicole (rondini, pernici, quaglie etc) che, anche se sempre di meno, popolano i nostri cieli. Io tutte queste specie non le vedo e allora, tant'e', avrei voglia di ascoltare il bulbul nella costruzione quasi geometrica della sua lunga armonia di suoni che si fa sentire per intera solo a primavera inoltrata. E di immaginarne la finzione nella testa dei poeti afgani che lo avevano ascoltato in India o in Persia, dove al bulbul piaceva restare snobbando l'Afghanistan. Cosa ascolteranno adesso i poeti? Presto per dirlo; ancora fa freddo e magari il bulbul adesso nidifica anche qui....Io vedo solo resistentissimi passeri, merli audaci e impavide tortorelle. Me le immagino a volare nei gul bagh, i giardini di rose di Kabul, o nei grandi vigneti che ne orlavano i contorni quando si schiacciava l'uva per farne vino e qualche ubriaco, perso nel profumo delle rose, avrà cercato di imitare quell'incredibile gorgheggio musicale mai udito qui, per cantare alla sua amata.

1 commento:

Anonimo ha detto...

è incredibile come vivendo in Asia ci si renda conto di quanto noi occidentali siamo arroganti e prepotenti in Asia. Vogliamo imporre il nostro ordine e le nostre leggi.

Chi sa se succederebbe il contrario, visto che anche l'asiatico ricco/ potente è arrogante. Me lo chiedo spesso.