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domenica 1 febbraio 2009

QUANDO KABUL CONQUISTO' DELHI


L’impero moghul fu, scrive lo storico John F. Richards (“The Mughal Empire”nella collana della storia della New Cambridge India History of India), uno dei piu’ vasti stati centrali del mondo premoderno. Richards fa iniziare l’impero nel 1526 e lo fa finire col collasso delle sue strutture nel 1720, benche’ l'impero in quanto tale sia sopravvissuto fino al 1800. Ma sull’inizio non v’e’ dubbio: nel 1526 Babur vinceva nella battaglia di Panipat il sultano di Delhi Ibrahim Lodi e conquistava l’India. A lui, e a suo figlio Humayun, si deve l’inizio dell’era turco mongola nel subcontinente indiano. Ma da dove veniva Babur?
Zahiruddin Muhammad Babur (1494- 1530) all’eta’ di 14 anni – quella di mio figlio Giovanni - era gia’ asceso al trono di Fergana, in Asia centrale. Ma la sua sede sara’ presto Kabul dove riposa, per suo volere, nei grandi giardini della capitale detti appunto di Babur. Era figlio del signore di Fergana la cui discendenza derivava da Timur lo zoppo, Tamerlano, mentre sua madre discendeva da Gengis Khan. Questo abile condottiero, che doveva cosi'dare vita un impero tuco mongolo, era dunque un uomo venuto dalla ricca pianura del Fergana e si dice che il suo sogno fosse in realta’ la conquista di Samarcanda, che aveva due volte preso e due volte perso, l’ultima delle quali, e per sempre, nel 1501. E’ nel 1519 che comincia a pensare seriamente ad espandere i suoi possedimenti a Oriente. E il 17 novembre del 1525 inizia la sua vittoriosa spedizione. Dopo tre grandi battaglie insedia ad Agra la capitale.
Si racconta che abbia fatto della strada tra Agra e Kabul la grande arteria commerciale che doveva collegare la sede dell’Impero alla citta’ che gli era rimasta nel cuore. E che, su quell’asse lungo 1500 chilometri, abbia voluto piantumazioni regolari che la ombreggiassero, stazioni di rifornimento (caravanserragli), posti di polizia, luoghi di preghiera, pozzi e locande. Persino funzionari in grado di compiere esercizio di magistrati.
Ho visto la sua tomba, piccola e di marmo bianco, oggi cintata da mura ma esposta alle intemperie, come lui stesso aveva ordinato prima di morire. Forse anche il grande Babur aveva pensato, dopo aver conquistato le cose del mondo e abitato al riparo di colonnati giganteschi e decorati, che alla fine della vita nulla e’ migliore di un cielo stellato...
Ma come lui ben doveva sapere, in Afghanistan e’ difficile riposare in pace. La guerra e’ passata anche nel luogo dove Babur aveva deciso di dormire il suo sonno eterno. Alcune lapidi sono traforate dalle pallottole dei mujaheddin, tranne una: quella che porta una scritta coranica e che, per fortuna, miracolo o sacro rispetto, i proiettili della feroce guerra civile degli anni Novanta non hanno nemmeno sfiorato. Sara’ pur recente leggenda, ma la stele e’ li’ da vedere. Senza neanche una scalfittura.

L’immagine: "Sjah Barboer", ossia Babur, in un incisione tratta dai libri dell’autore olandese Francois Valentijn ("Landbeschrijving" 1726)

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