Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

mercoledì 18 febbraio 2009

AL TEMPIO DEI 14 FRATELLINI

Ho quasi finito il lavoro, ma mi attardo come mio solito su alcune immagini anziché accelerare i tempi come dovrei. La finestra dalla quale mi sembra di vedere i tetti di Nuova Delhi, per via di un certo taglio della luce. Quella di camera via che spinazza l'Hindu Kush innevato e i fumi del gasolio che sporcano il paesaggio candido. I rami di un melo che si è deciso venga tagliato e dove si posano gli usignoli della mia immaginazione, animaletti preziosi che in realtà snobbano Kabul. E ieri mattina abbiamo fatto una lunga passeggiata nel vecchio centro della città accompagnati da Jolyon Leslie, il responsabile della parte di ricostruzione architettonica dell'Aga Khan Foundation (che qui vedete ritratto da Romano Martinis mentre mi erudisce). Ma anche quello era lavoro. Le foto di Romano sono la chicca che mancava per disegnare questa città e i tesori nascosti che riescono a far dimenticare il suo dramma quotidiano.

Di lui, Jolyon, ho già parlato: ha scritto un bellissimo libro (The mirage of peace) per cui mi riprometto di cercare un editore italiano. Un occhio sulla guerra e sull'Afghanistan, raro e assai diverso dal mainstream e dunque importante da leggere. Vive qui da oltre vent'anni, parla dari con l'accento di Kabul, lo scambiano spesso per un nuristano (per via dell'occhio chiaro e il biondo capello) e si muove in questa zona della città come un pesce nei mari caldi. Passiamo da un paio di moschee in ricostruzione a vecchie dimore della buona borghesia mercantile locale, con ampi cortili e finestre di legno intarsiato. Ci vivono anche cinque famiglie e sono la riproduzione urbana delle strutture tradizionali che si vedono in campagna: muraglioni molto semplici all'esterno e, appena dentro, si apre la luce dell'arte nascosta dell'intarsio, della maestria degli antichi artigiani, di questi esperti ebanisti uno dei quali, Ghulam Ghaws, ci mostra con dovizia di particolari modanature ricalcate su modelli moghul. Ghulam passa parte del suo tempo dai venditori di legna da ardere, recuperando vecchie porte, finestre scardinate e tavole che portano la stimmata dell'antico nobile artigiano afgano, personaggio ormai in via di estinzione. Torna coi suoi tesori, Ghulam Ghaws, nel laboratorio-bottega di Asheqan (sorto per fare formazione a giovani falegnami che riparano queste antiche magioni) e si mette all'opera: pulisce, recupera, copia gli antichi disegni. Jolyon se la gode un mondo.
L'Aga Khan, oltre a far soldi con i telefonini e gli alberghi (è suo il famoso Hotel Serena), è il grande mecenate del recupero architettonico. Ma se non ci fosse anche la sensibilità di Jolyon...

Tra le tante maraviglia visitiamo l'hamam Shanasazi in piena ricostruzione. L'acqua viene portata a temperatura durante la notte in ampi vasconi di zinco da 20 mm di spessore e alti un metro e mezzo. Servirà il giorno appresso per i bagni della comunità, l'unico vero mezzo perché questa povera gente possa lavarsi. Non sono bagni turchi, ma un'arte propria di qui: piccole vasche negli angoli da cui ci si asperge addosso l'acqua calda, che scivola via felice negli scoli al centro del pavimento che sarà di marmo entro un paio di mesi. Anche per noi è un bagno di vita in questa parte della città apparentemente assai povera ma in realtà zeppa di piccoli e grandi gioielli. A saperli scovare.
Come il tempio di Asheqan we Arafan, la tomba dei due fratelli innamorati di cui mi riprometto di raccontarvi in seguito la storia. Ma c'è anche il mausoleo dei 14 fratellini che però, nel tempietto esagonale che ne protegge i sarcofaghi, appaiono solo in quattro. E gli altri dieci? Vengono fuori di notte, dice la leggenda, e chiacchierano con gli altri, che se ne stanno esposti alla preghiera durante il giorno. Luoghi di culto di cui ignoravo l'esistenza, vecchi santi - pir - che pregano in un angolo, meste teorie di donne velate che portano i figlioli e chiedono una grazia, giaculatorie per tenere lontani i gin, quei diavoletti dannati che ci fanno gli sgambetti. E infine la strana usanza di appendere i lucchetti ai lignei mosaici che contornano i mausolei nella loro parte interna, per grazia ricevuta. O sperata. Giri per Kabul e trovi Ponte Milvio.

Nessun commento: