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giovedì 30 aprile 2009

GUERRE E SOLDATI, RIFLESSIONI A MARGINE

Qualche giorno fa ho scritto sul mio blog a proposito della caserma di Camp Arena a Herat. E l' articolessa ha sollevato qualche reazione forte da parte di uno o più soldati. Una di queste reazioni in particolare mi ha colpito: un militare se è sentito offeso dalle mie parole e mi ha risposto (e qui aihmé si sbaglia) dicendo che è comodo fare come me, in vacanza in Afghanistan ben pagato, e criticare chi rischia la pelle. In vacanza forse si (visto che per me lasciare un'Italia in cui non mi riconosco molto di questi tempi è una vacanza) ma ben pagato, amico mio, proprio no. Lo sai caro milite a quanti giornali interessano le mie verità? Leggerai queste cose solo sul blog. E poiché io son pagato un tanto al pezzo puoi anche farmi i conti in tasca. Ai giornali italiani piace solo la retorica patriottica. A me invece non piace, anzi mi sembra offensiva del tuo e del mio intelletto.

Io penso, l'ho sempre detto, che siete guerrieri e che, invece che pacchi dono, dovreste andare a combattere senza lasciare solo ai canadesi e agli americani quest'onere. So che molti di voi lo farebbero e che altri, in gran segreto, lo fanno. Solo un cretino può darvi del “vigliacco” e solo qualche gasato, a cui piace smitragliare nel mucchio, offende una missione che è certo criticabile (meglio ad esempio se avesse un altro mandato e una maggior condivisione internazionale, come in Libano) ma che ha una sua ragion d'essere e che non si può liquidare con uno slogan. Tutto ciò comunque non dipende da voi militari ma dalle scelte della politica e, in Italia, da quella retorica nazionalpacifista propria di tutti i governi italiani. Combatto si ma fino a un certo punto. “Armiamoci e partite”, si sarebbe detto una volta. Purtroppo i Prt (Provincial Reconstruction team) vanno in questa direzione e l'Italia sembra essere assai disattenta (politica, militari e cittadini) delle confuse implicazioni della sua azione di cui si occupano solo le Ong italiane (e nemmeno tutte). Ma veniamo alle offese.

Il mio amico in divisa si è forse risentito del termine “damerini” e, giustamente, dice: siam tutti professionisti, non carne da macello. Ne convengo e ne sono felice. Dicevo anzi che ho scoperto, stando a Camp Arena, che i tempi della naja, quando un qualsiasi caporale coglione vi insultava e umiliava (è successo anche a me per quel poco che ho fatto il militare: una settimana in tutto), son finiti. Ci mancherebbe. Ma dicevo anche che queste guerre moderne, con soldati alfabetizzati e altamente sindacalizzati (come io ritengo sia giustissimo che sia) si perderebbero se si combattesse corpo a corpo, cosa che, infatti non si fa più. In questi giorni i giornali americani cercano di darci a bere che le loro pattuglie fanno gli agguati... Si può anche darsi. Ma per quanto se ne so, l'unico vero modo di far secchi i talebani è bombardare a tappeto. Vedi che in mezzo a dieci civili becchi anche uno di loro. Lei, mio caro amico in divisa lo sa. E lo sa anche la Nato che infatti accusa i taleb di usare scudi umani....La verità è che le democrazie mature non possono permettersi un morto in più. Non possiamo rischiarlo....

Io trovo quella di bombardare una scelta criminale. Non amo i talebani ma la gente comune ha tutto il diritto di vivere. E' una questione di garanzie minime: meglio dieci ladri fuori che un innocente dentro. E noi italiani, che non schiacciamo il bottone, siamo corresponsabili quanto gli avieri americani. Non solo lei, amico mio in divisa, io anche come giornalista in vacanza e ben pagato (sic), i parlamentari che io e lei abbiamo votato, il cittadino comune poco informato che guarda la tele per vedere tette e culi, altrimenti adorabili strumenti di piacere di un'intimità continuamente esposta a sproposito: per evitare di parlar d'altro e rimbambire i nostri ottenebrati cervelli.

Aggiungo anche una cosa per un altro lettore che dice che se gli americani volessero vincerebbero militarmente in quattro e quattr'otto...Non condivido la sua analisi. Concordo sul fatto che le lobby amano le guerre prolungate, ma lei ormai dovrebbe sapere che bombardando non si vince più. Non sono i tempi della seconda guerra mondiale e di Dresda o Hiroshima e la lezione dei bombardamenti nelle guerre asimmetriche data almeno dai tempi del Vietnam. Con le bombe non si vince: lo chieda agli israeliani, maestri del bombardamento....selettivo. Talmente efficace che Hamas ha vinto le elezioni.

Gli americani, o almeno la loro leadership più accorta, non vede l'ora di andarsene da Kabul: non c'è petrolio, i tubi possono passare altrove, non c'è sbocco al mare e questo paese non è un mercato appetibile. A che serve l'Afghanistan? Ma siamo imprigionati – loro e noi - in un gioco perverso che ha a che vedere con l'orgoglio nazionale, la retorica dei diritti delle donne, e il lento inesorabile lavorio delle lobby (non solo quelle delle armi: a Camp Arena si beve acqua minerale italiana e la verdura viene dalla Puglia). Ma pensare che se ne esca con le bombe mi pare demenziale. Lo ha capito anche Obama. E infatti le voci di corridoio dicono insistentemente che si tratta. Sotto banco ma si tratta. Ma a voi soldati non lo dicono. In questo senso siete carne da macello intellettuale che la politica maschera da soldati buoni che non sparano ma fanno doni. Io mi auguro che anche voi, come me, vi ribelliate un giorno a questa retorica che vi offende assai più delle mie rudi parole. Che avranno certo molti difetti ma credo non manchino di onestà intellettuale.

A questo, solo a questo, servono i giornalisti: a cercare di raccontare brandelli di verità scomodi persino per loro stessi. Buone vacanze in Afghanistan!

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