Herat -Devo a due militari se sono entrato in una prigione afgana. Non in stato di arresto, per fortuna. Il colonnello italiano Brandomisio e, soprattutto, il generale afgano Sadiqui ci hanno permesso di visitare il carcere di Herat, 1500 persone ai ferri ma in una galera parzialmente "aperta" dove ci sono diverse sezioni di lavoro: tappeti, sartorie, persino un parrucchiere. Abbiamo visto una cinquantina di detenuti e nulla sappiamo degli altri 1450, ma l'impressione non e' stata delle peggiori. Non so nulla delle celle, ne' degli interrogatori, ne' delle reali condizioni della vita carceraria ma mi ha comunque stupito che il generale facesse vedere il carcere a un gruppo di giornalisti e di militari italiani. Subito dopo siamo andati in un orfanotrofio e in un carcere femminile in parte finanziati dalla cooperazione italiana e da quella militare.
Luoghi di pena e di dolore dove si vive un dramma quotidiano che, a tutta prima, nemmeno si vede. Ma ad un certo momento mi son sentito proprio fuori posto. Cosa ci faccio qui a partecipare superficialemnte di un dolore che non posso certo attenuare raccontandolo? Mi son seduto in disparte aspettando che la visita finisse. Troppo persino per il mio professionale cinismo
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