Per andare a consegnare la sua candidatura alle presidenziali, il presidente uscente Hamid Karzai si inventa una vera e propria processione che, più che da esponente di una promessa di democrazia, sembra una dimostrazione di satrapica potenza. E' lunedi 4 maggio, due giorni fa, ed è anche il giorno in cui un manipolo di giornalisti, tra cui noi, tenta di guadagnare in orario l'aeroporto. Ma Karzai ha pensato bene di far bloccare tutte le arterie principali che portano alla Jalalabad Road, dove si ricevono le iscrizioni alla gara presidenziale. Comprese le uniche due strade che menano agli aeroporti nazionale e internazionale.
Famiglie con scatoloni di cartone, businessman in blazer spiegazzati dal taxi con le caratteristiche e lucidissime scarpe a punta quadrata, eleganti khan col turbante svolazzante, mullah dalla barba bianca e giornalisti occidentali con telecamere e valige sono costretti a lasciare le macchine che cuociono in coda e tentare di guadagnare la pista a piedi. La mesta teoria di cittadini sorpassa un cordone di polizia e gli agenti anti sommossa formati alla scuola americana: occhiali neri, mitraglia a tracolla, fare deciso e divise nuove di pacca. Militari dell'Isaf/Nato non ce n'è, salvo una pattuglia turca in autoblindo che passa sgommando (la consegna è: tutto il potere alle forze nazionali). La gente dev'essere, come noi, piuttosto infastidita.
Sudando e maledicendo i potenti arriviamo all'aeroporto internazionale militare appena ricostruito dai giapponesi e che sta ormai sostituendo quel baraccamento di filo spinato, blocchi di cemento e sacchetti di sabbia che, sino a ieri, caratterizzava l'arrivo e la partenza dall'aeroporto di Kabul. Quello nuovo è fatto per garantire una presenza militare di lunga durata. Ma l'apparenza è: “aria nuova”. Domenica scorsa, del resto, l'ambasciatore americano in persona, con seguito di telecamere, si è fatto riprendere mentre recideva il reticolo di filo spinato sui muri della legazione. Dando seguito a un decreto di Karzai di due anni fa. Si cambia. Non tutto il potere al popolo, ma tutto il potere a militari e polizia afgana.
Anche un cieco però di accorgerebbe che le cose non stanno così.
Proprio l' “incidente”, così è stato derubricato, in cui è morta la piccola Behnooshahr Wali, uccisa da una pallottola di mitraglietta italiana domenica mattina, rivela quello che tutti sanno ma che non si può dire. L'Afghanistan è governato da eserciti occupanti che ce la mettono tutta per non apparire tali ma che, alla fine, agiscono pur sempre come fa un esercito. Uccide se le condizioni lo richiedono o c'è un rischio anche solo apparente e in regime di totale impunità. Il giudizio spetterà a un tribunale nazionale del paese di riferimento (nel caso una procura italiana) non certo al sistema giudiziario afgano....
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