Famiglie con scatoloni di cartone, businessman in blazer spiegazzati dal taxi con le caratteristiche e lucidissime scarpe a punta quadrata, eleganti khan col turbante svolazzante, mullah dalla barba bianca e giornalisti occidentali con telecamere e valige sono costretti a lasciare le macchine che cuociono in coda e tentare di guadagnare la pista a piedi. La mesta teoria di cittadini sorpassa un cordone di polizia e gli agenti anti sommossa formati alla scuola americana: occhiali neri, mitraglia a tracolla, fare deciso e divise nuove di pacca. Militari dell'Isaf/Nato non ce n'è, salvo una pattuglia turca in autoblindo che passa sgommando (la consegna è: tutto il potere alle forze nazionali). La gente dev'essere, come noi, piuttosto infastidita.
Sudando e maledicendo i potenti arriviamo all'aeroporto internazionale militare appena ricostruito dai giapponesi e che sta ormai sostituendo quel baraccamento di filo spinato, blocchi di cemento e sacchetti di sabbia che, sino a ieri, caratterizzava l'arrivo e la partenza dall'aeroporto di Kabul. Quello nuovo è fatto per garantire una presenza militare di lunga durata. Ma l'apparenza è: “aria nuova”. Domenica scorsa, del resto, l'ambasciatore americano in persona, con seguito di telecamere, si è fatto riprendere mentre recideva il reticolo di filo spinato sui muri della legazione. Dando seguito a un decreto di Karzai di due anni fa. Si cambia. Non tutto il potere al popolo, ma tutto il potere a militari e polizia afgana.
Anche un cieco però di accorgerebbe che le cose non stanno così.
Proprio l' “incidente”, così è stato derubricato, in cui è morta la piccola Behnooshahr Wali, uccisa da una pallottola di mitraglietta italiana domenica mattina, rivela quello che tutti sanno ma che non si può dire. L'Afghanistan è governato da eserciti occupanti che ce la mettono tutta per non apparire tali ma che, alla fine, agiscono pur sempre come fa un esercito. Uccide se le condizioni lo richiedono o c'è un rischio anche solo apparente e in regime di totale impunità. Il giudizio spetterà a un tribunale nazionale del paese di riferimento (nel caso una procura italiana) non certo al sistema giudiziario afgano....
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