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venerdì 15 maggio 2009

TRAPPOLA BIRMANA

Se a pensar male non si fa peccato, la vicenda che ieri mattina all'alba ha coinvolto la leader birmana Aung San Suu Kyi portando al suo arresto e al suo trasferimento immediato nel carcere di Insein a Rangoon, ha tutto il sapore, più che un'ennesima beffa dopo 19 anni di angherie e 13 di arresti domiciliari, di una trappola architettata ad arte.



La vicenda inizia nella notte tra il 3 e il 4 maggio scorso, quando un “misterioso” americano, che le poche indiscrezioni danno per attivista dei diritti umani con un passato di veterano nel Sudest asiatico, si reca a nuoto nella casa della Nobel birmana. Attraversa a bracciate i due chilometri che separano una sponda del lago Inya, nel cuore della capitale, dalla lignea magione colorata di bianco di Aung San Suu Kyi, dove la Nobel vive reclusa. Lo aveva già fatto in dicembre ed era stato respinto al mittente seduta stante.

Ma questa volta, non sappiamo esattamente perché, gli viene concessa ospitalità per due notti. Forse l'uomo sta male, è infreddolito ed è sicuramente stanco per la traversata (ha 53 anni), fatto sta che gli viene concesso di rimanere due giorni e viene nascosto, perché in Birmania non si può dare ospitalità agli stranieri senza permesso, per un paio di notti a piano terra: farlo uscire dalla porta sulla strada sarebbe stato infatti troppo rischioso.
Al suo rientro sulla terra ferma dell'altra sponda del lago, John William Yettaw – questo il nome dell'improvvido militante della causa dei diritti umani – viene arrestato dai birmani nelle acque del lago. E' il 6 maggio e Yettaw finisce in carcere con l'accusa di aver violato le norme sull'immigrazione e quelle sui luoghi vietati. Rischia tra uno e cinque anni di carcere.

Ma dopo qualche giorno, è l'alba di ieri mattina, la polizia va a presentare il conto anche all'ospite e arriva a casa di Aung San Suu Kyi dalla porta principale e con in tasca un mandato d'arresto, in linea con una violazione patente delle leggi birmane per aver modificato la condizione dei suoi arresti domiciliari che, comminatigli nel 2003 per l'ennesima volta, le sarebbero casualmente scaduti a giorni, il 27 di questo mese. Adesso, e senza dunque bisogno di rinnovare l'odiosa misura, Aung San Suu Kyi rischia di passare in prigione dai tre ai cinque anni di carcere. Secondo il sito “Irrawaddy”, anche di più. Un caso? Forse. Certo un caso provvidenziale....

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