Una città blindata dall'arrivo di migliaia di soldati in assetto anti sommossa e lo spettro della pena capitale in una situazione che gli osservatori definiscono da “legge marziale”. Così si presenta oggi Urumci, la capitale dello Xinjiang, la provincia occidentale della Rpc che gli uiguri, la popolazione autoctona, chiama Turkestan orientale.
La ciliegina sulla torta è la fretta con cui il presidente Hu Jintao ha lasciato il tavolo dei grandi apparecchiato dal governo italiano all'Aquila. Che racconta due cose: la preoccupazione per una situazione sfuggita di mano ma anche forse la necessità di evitare critiche pubbliche ed ufficiali assai imbarazzanti. La sua assenza, dicono fonti ufficiose, farà così probabilmente saltare il capitolo sulle “valute” (ossia una critica alla superpotenza monopolistica del dollaro) cui i cinesi tanto tenevano e che probabilmente non troverà posto nei documenti del summit.
Urumci dunque è blindata. E sola. Soltanto la Turchia ha fatto la voce grossa anche ieri: il premier turco Tayyip Erdogan, che ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di affrontare la questione, non ha usato mezze parole: le violenze avvenute nella Regione Autonoma dello Xinjiang e costate la vita a oltre 150 persone (secondo una versione contestata dall'opposizione in esilio che ieri ha fatto un bilancio di almeno 400 vittime sostenendo che incidenti si sarebbero verificati anche nelle città di Kashgar, Yarkand, Aksu, Khotan e Karamay) “hanno preso la dimensione di atrocità”. E' sua l'unica voce ad essersi alzata fortemente contro la Cina.
Di bassissimo profilo le critiche occidentali. Nulle – come ha contestato ai paesi musulmani il Congresso mondiale uiguro – le reazioni delle nazioni islamiche o a maggioranza musulmana che rispediscono in Cina, dicono al Congresso (che la Rpc accusa di aver “orchestrato” le proteste di domenica scorsa), gli uiguri che scappano da questa nuova prigione a cielo aperto.
Urumci è sola e guardata a vista. La calma è stata ripristinata, dicono le fonti ufficiali cinesi, ma anche su questo punto è lecito avanzare dei dubbi. Le agenzie di stampa hanno riferito ieri di nuovi incidenti in cui gruppi armati di cinesi han (la comunità etnica maggioritaria in Cina e che conta nello Xinjiang per il 40% della popolazione) hanno continuato, più o meno indisturbati, la caccia all'uiguro. Nebbia infine sul numero reale delle vittime e sulla loro origine etnica: han in maggioranza, come dicono le fonti ufficiali del governo, o uiguri come denuncia il Congresso? Nebbia oscurata dalle minacce dell'uso della pena capitale come massimo deterrente. Chi si muove dunque lo fa a suo rischio e pericolo e la magistratura cinese è pronta a usare il massimo della pena per chi violasse le regole che da ieri blindano la capitale della provincia.
La domanda di queste ore è cosa dunque succederà e, soprattutto, come mai Hu Jintao ha dovuto far rientro con così tanta fretta. Una delle ipotesi è che la situazione sia tutt'altro che sotto controllo. La miscela di risentimento, identità negata, convivenza obbligata tra han e uiguri (i primi inviati nello Xinjiang non da una libera scelta ma dai vantaggi economici promessi, i secondi divenuti una delle “minoranze etniche” della regione) sembra arrivata, per la prima volta in tempi recenti, a un vero punto di non ritorno che forse le autorità locali temono di non riuscire a governare. Inoltre, come i cinesi sanno molto bene, nello Xinjiang sono attivi anche gruppi terroristici secessionisti che, benché minoritari, hanno appena dimostrato, meno di un anno fa, di poter colpire con attentati eclatanti (in cui uccisero oltre una decina di poliziotti cinesi). La situazione di tensione potrebbe rinvigorirli e persino fornire il consenso che, fino ad ora, è loro mancato. E potrebbe farli uscire da un isolamento politico che proprio il Congresso, un'istanza moderata forse paragonabile ai tibetani dell'esilio, aveva contribuito a creare attorno a loro. La cecità cinese, che ha sempre ignorato la diaspora all'estero portavoce delle rivendicazioni impossibili da denunciare dentro i confini della Cina, rischia adesso di far travasare il consenso popolare spontaneo verso la bilancia dell'estremismo radicale islamico, una bandiera sempre agitata da Pechino – molto spesso a sproposito – per tenere a bada le richieste di maggior autonomia della popolazione locale.
Lo schieramento in città di alcune migliaia di soldati cinesi, arrivati a dare manforte alla milizia locale, sembra avere l'intenzione di separare le due anime in cui è divisa Urumci anche se il risentimento etnico spiega le cose solo fino a un certo punto. Quanto è stata violenta e spropositata la reazione delle forze dell'ordine? E quante persone sono state uccise da proiettili oltre che da armi da taglio, come si vede nelle foto fatte circolare da Pechino per dimostrare la violenza degli uiguri? Quanto sono vere le denunce del Congresso e quelle apparse sulla stampa turca che accusa la polizia di stupri di massa? Domande per ora senza risposta.
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