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giovedì 13 agosto 2009

OMBRE E DENARI SULLA CAMPAGNA DI KARZAI


Schede di voto comprate per un pugno di dollari o scambiate con tessere telefoniche. Soldi pubblici utilizzati per la campagna elettorale. Intimidazioni e boicottaggio nei confronti dei rivali più deboli e “patti segreti” con i più forti. Milizie "realiste" a presidiare i seggi. Con la cornice di seggi elettorali che andranno deserti per problemi di sicurezza e dunque si presteranno a brogli e frodi. E' questo il panorama in cui Hamid Karzai, il presidente uscente, cerca la sua seconda rielezione. Ma è proprio lui, coadiuvato da famigliari e consiglieri, una delle zone grigie più controverse di queste elezioni. Che non può e non vuole perdere.

E' lui l'elegante signore pashtun avvolto nel tradizionale chapan di ottima fattura, a utilizzare senza esclusione di colpi ogni mezzo pur di ottenere un'elezione al primo turno senza l'onta del ballottaggio. Anche a costo che la sua stessa campagna elettorale, al centro di critiche e polemiche, rischi di fargli perdere consensi nazionali e appoggi internazionali.
Gli attacchi più violenti glieli ha riservati la stampa britannica e il frasario assai poco diplomatico di uno dei suoi maggiori rivali, Ashraf Ghani, che Karzai avrebbe cercato di “comprare” promettendogli un super premierato nel suo gabinetto, e che ha accusato il presidente di aver fatto dell'Afghanistan lo stato più fallito e corrotto del pianeta.

Così corrotto che adesso Karzai, attraverso intermediari che si rivolgono direttamente ai contadini poveri delle aree più a rischio, quelle del Sud dove infuria la guerra, comprerebbe le schede elettorali per poco più di venti euro o addirittura in cambio di tessere telefoniche per il cellulare. La compravendita di voti non è una novità (in Afghanistan come altrove) ma il Times di Londra ha puntato il dito direttamente su Wali Karzai e su Sher Mohammad Akhundzada, ex governatore della provincia di Helmand, un uomo che, come il fratello del presidente, è stato sempre molto chiacchierato anche in relazione al narcotraffico. Accusa riecheggiata per mesi nei corridoi dei palazzi di Kabul sino ad essere poi approdata a chiare lettere in un articolo della stampa americana e persino nel saggio scritto da un diplomatico in servizio a Kabul.


Wali è molto chiacchierato
anche per i suoi affari nella capitale e per essere considerato un re degli appalti, specie nel lucroso settore edilizio di Kabul. Ma è anche l'amministratore di un ingente patrimonio fondiario nel Sud e l'uomo di cui il presidente si serve per tenere viva la rete di relazioni tribali della potente tribù dei Popolzay, una dei più influenti dell'Afghanistan.
Ma su Karzai sono piovute anche altre accuse, sospetti, preoccupazioni: la sua influenza sui media statali e locali, le intimidazioni fisiche alle squadre dei supporter di altri candidati che sarebbero da imputare ai sostenitori del presidente e, infine, l'utilizzo di soldi pubblici per la sua campagna elettorale. Ma non è tutto. Karzai, abbastanza alla luce del sole, ha stretto accordi più o meno pubblicizzati, con diversi concorrenti promettendo loro posti nel suo futuro gabinetto se si ritirassero: il caso più noto è quello di Ashraf Ghani, lo sfidante a cui i sondaggi attribuiscono un risicato 4% ma che Karzai teme possa frammentare il voto pashtun. Cosi gli avrebbe offerto, pare con i buoni auspici degli americani, un posto da “super primo ministro” che però Ghani, almeno sinora, ha rifiutato. Infine c'è il problema brogli.

Un funzionario internazionale che lavora in Afghanistan spiega a Lettera22 che “la preoccupazione è in termini di conteggi: a causa dell'insicurezza, una serie di seggi nelle aree a rischio potrebbero non vedere alcun votante...dunque, il rischio che in questi casi si maneggi il voto potrebbe essere reale”. A Kandahar del resto, il capo della polizia ha dichiarato che non può garantire la sicurezza in tutti i seggi motivo per il quale il presidente ha decretato la possibilità che questa garanzia venga offerta da “milizie private”. Ma chi garantirà la loro imparzialità?

Ufficialmente dovrebbe trattarsi di circa 10mila “tribsmen” per controllare i seggi in 21 della 34 province afgane: il famoso “surge” all'irachena (milizie tribali per combattere l'insurrezione) sembra rispuntare. Ma questa volta non pilotato dagli Usa ma dal presidente.

Zemeri Bashary, portavoce del ministero dell'Interno, ha detto che queste “ronde” non saranno armate dal governo e non avranno neppure divise: staranno, insomma agli ordini delle forze di sicurezza schierate da Kabul. Ma Maqbool Ahmad, un vice di Noorzai, ha spiegato che nessuno impedirà loro di portarsi da casa il proprio fucile purché sia registrato dalle autorità locali. “A quanto sembra di capire – ci dice un responsabile delle Nazioni Unite - molti seggi non apriranno neppure. E poiché la cosa danneggerebbe Karzai, visto che che si tratterebbe soprattutto di seggi in zone pashtun, ecco perché a Kabul si sarebbe deciso per le milizie”. Una scelta tutta a favore di Karzai.

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