Kabul - Ali, chiamiamolo così, ha solo 16 anni. Per lui son quelli, ma sulla carta d'identità svizzera è scritto che ne ha 18 come avrebbero dimostrato – dice mostrando il braccio - “...delle analisi”. Il sospetto è che l'età sia stata piegata a termini di legge. Per i maggiorenni la strada del rimpatrio per clandestinità si apre in un batter d'occhio. A 16, tocca infilarti in qualche struttura e poi si vedrà.
Ali, un giovanissimo ragazzo hazara dal viso largo e aperto, ci ha fermato all'aeroporto di Dubai. Non si arrangia troppo con l'inglese in questo scalo dove la specialità locale è averlo riempito di punti informativi dove ti danno sempre una risposta diversa. Sta aspettando, come noi, l'imbarco per l'Afghanistan, un paese – il suo – che non vede da dieci anni. Da quando la sua famiglia, parte di una comunità vessata dai mujaheddin e dai talebani, è scappata in Iran lasciando tutto. E tutto perdendo.
Come molti suoi coetanei Ali ad un certo punto, ha solo 14 anni, decide di tentare la sorte. Andare via verso la ricca Europa, lungo un percorso ormai sperimentato. Lo racconta nel suo inglese stentato “speravo – dice - di studiare...”. Prima le montagne dell'Iran, poi quelle che portano dal Kurdistan all'Anatolia, infine in Grecia. Ma in Grecia viene pizzicato e finisce in carcere. Siccome però la legge ha sempre molte declinazioni, dopo dieci giorni è rilasciato. I greci sanno che la sua meta è l'Europa da cui si parte, accovacciati sull'asse delle ruote di qualche Tir, dal porto di Patrasso. Da lì ricomincia l'avventura, sempre senza soldi, con la pancia vuota, in compagnia di qualche avventuriero come lui che si lega al camion e incrocia le dita. Ali passa cinque giorni in Italia - “...è un bel paese, dove i bambini si divertono” - e poi passa il confine austriaco. Si separa dagli amici, chi verso la Germania, chi verso la Svezia, chi va a Londra. Ma in Austria è dura fare il clandestino, passare da una mensa all'altra (“...alla Caritas, il mangiare era buono”) finché la polizia di frontiera elvetica non lo prende durante un passaggio di frontiera. E si, perché la Svizzera non è ancora esattamente un paese dello spazio di Schengen, non quando i gendarmi fermano Ali.
Se non ci fosse stato l'episodio della Grecia, cui in qualche modo le autorità elvetiche risalgono, l'espulsione ci sarebbe lo stesso ma, racconta lui, con un piccolo malloppo in tasca. Così no, il recidivo non si premia. Giusto i soldi del biglietto per quella secca figurina e il suo magro zainetto che ora si aggirano per lo spazio asettico e poco accogliente dello scalo di Dubai. E cosa farai, Ali, una volta a Kabul? Non lo sa, forse Kabul non l'ha mai vista, la sua gente è di Kandahar. Non ha soldi, né un telefono da chiamare. Non un indirizzo. Quando scendiamo dalla scaletta nel nuovo aeroporto di cui la città di Karzai si è appena dotata, Ali si china per terra. Ma non per pregare: bacia quell'asfalto bisunto di catrame e gasolio sotto un cielo ancora cupo e dannatamente gelato nella mattina invernale dell'Hindukush.
Fuori c'è una città spettrale, piena di polizia e militari col mitra spianato. Bentornato al tuo paese, Ali, dove c'è la guerra da trent'anni! Vedi di cavartela che magari qualche spacciatore ha bisogno di te, cavallo di qualche traffico tra kalashnikov ed eroina. “Pensavo -dice – che venire da un paese in guerra mi avrebbe aiutato...”. Cose d'altri tempi. O forse mai viste.
A un suo coetaneo è andata peggio. E' cascato dal camion a Bertinoro, provincia di Forlì. Ad accorgersi del corpo è stato un passante, che ha avvisato la polizia. Un caso di cronaca. Invece ad Alidad Shiri è andata bene. Ha scritto anche un libro: “Via dalla pazza guerra” (Edizioni Il Margine). E' stato accolto a Merano e frequenta la scuola professionale Guglielmo Marconi. La sua Odissea è finita in gloria. Non quella di Ali. Che è appena ricominciata.
Ogni anno decine di ragazzi tentano la strada di Ali o quella di Alidad, che è poi la stessa. Sul loro cammino c'è sempre qualche trafficante di giovani corpi che fa loro da guida attraverso l'Iran e spesso gli porta via tutti i soldi che hanno. Poi la Turchia e la Grecia, dove è noto che si chiude un occhio. O anche il confine sloveno dove passare è abbastanza facile. O il viaggio da Patrasso, senza nemmeno poter pisciare sennò l'autista se ne accorge. Ma il peggio deve ancora venire perché, quando ce l'hai fatta, tocca alla polizia scrivere, o meno, la parola fine. Non tutti gli agenti lo fanno. Ma adesso è sempre peggio. E' una storia meno nota delle morti in mare solo perché più diluita. Ma il dramma è uguale. Lo incontri lì, all'aeroporto di Dubai, dove un ricco mercante di Muscate ha appena ordinato un succulento piatto di riso e vitella al forno. E dove un taccuino non riesce a contenere, oltre la cronaca, il dolore.
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