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giovedì 7 gennaio 2010

PASSEGGIANDO A KABUL

Fare una passeggiata a Kabul o a Herat non è solo una maniera di vincere la paura e, in un certo senso, l'oppressione della guerra. E' un modo per riappropriarsi della città.


Kabul ha oggi 4 milioni di abitanti. Era una tranquilla capitale con 400mila residenti quando - incontrata la prima volta negli anni Settanta – ospitava già molti occidentali. Ma non erano soldati della Nato in mimetica e occhiali a specchio bensì un'altrettanto variegata truppa di svedesi, francesi, britannici coi capelli lunghi e le gonne colorate. Senza mitraglietta a tracolla.
Adesso la città è stretta in una sorta di morsa ossessionate di paura. Almeno per noi. C'è un divieto non scritto ma fortemente raccomandato perché non si esca di casa e soprattutto non si passeggi: rischio attentati, sequestri, mine disseminate sulle strade...Eppure

Come ovunque bisogna avere una guida. Una persona che interpreta i segni sottili che persino i muri sanno restituire. Una volta un amico afgano ci ha spiegato che, durante la cacciata dell'ultimo governo filosovietico di Kabul negli anni Ottanta, si poteva capire da un certo modo di tenere semichiuso un negozio o di appoggiare una tenda alle finestre se sarebbe o meno successo qualcosa: “Se il panettiere chiudeva il suo negozio – bugigattoli dove i fornai appollaiati su stuoie di canapa infilano nei forni incastonati nel pavimento lunghi pani piatti che, appoggiati alle pareti infocate, vengono recuperati cotti con dei bizzarri uncini– potevi star certo che i mujaheddin stavano preparando l'attacco”.
Questa volta la guida è Jolyon Leslie, sudafricano di origine e a lungo responsabile dell'Ufficio Onu di Kabul in anni difficili e persino durante i talebani. Oggi lavora per l'Aga Khan Foundation, responsabile delle migliori opere di ristrutturazione e conservazione di buona parte dei centri storici di Kabul ed Herat...(continua su Lettera22)

Questo reportage è uscito sul numero 25 della rivista Abitare la terra

Nella foto di Romano Martinis (che illustra il reportage) J. Leslie ed E. Giordana nell'ufficio del'Aga Khan Foundation a Kabul

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