Se la Malaysia non fosse un incredibile laboratorio dove, nonostante tutto, tre grosse e diversissime comunità convivono da secoli (autoctoni, cinesi e indiani), l'assalto ad alcune chiese cristiane in quattro diverse zone di Kuala Lumpur potrebbe restare notizia da derubricare nelle cronache locali. Ma proprio questi episodi in realtà marginali, in un paese dove persino l'islam più radicale si è dato un codice, sono segnali di malessere in una complessità, quella malaysiana, che è necessario tenere d'occhio. Anche perché, di questi tempi, l'attacco a un tempio cristiano rischia di infiammare ancor più gli animi predisposti a a vedere nell'islam il braccio del maligno.
I fatti: nella notte tra giovedi e venerdi attivisti in motoretta gettano benzina negli uffici amministrativi di un palazzo a tre piani della Chiesa protestante del Metro Tabernacolo nella zona Nord della città. Il piano terra viene praticamente distrutto. Contemporaneamente altri commando colpiscono, nella zona occidentale della capitale, altri due templi protestanti e un luogo di culto cattolico, la chiesa dell'Assunzione di Petaling Jaya. I danni in queste tre ultime chiese sono però ridotti anche se gli assalitori finiscono il lavoro sfasciando alcune auto parcheggiate nelle vicinanze. E mentre la polizia apre un'inchiesta, per le vie della capitale viene organizzata, nella giornata dopo il raid (cioè ieri, venerdi, giorno della preghiera) una manifestazione di protesta, promossa da 58 Ong musulmane, cui partecipano alcune centinaia di persone.
Gli antefatti: il raid contro le chiese è riconducibile, come la manifestazione di ieri, alla decisione dell'Alta corte che il 31 dicembre ha dato ragione a un giornale cattolico su una controversia di carattere lessical religioso: nel 2007 il governo aveva minacciato di chiusura il settimanale cattolico Herald, diretto da padre Lawrence Andrew, se avesse ancora utilizzato la parola Allah per indicare Dio. Per il ministero per gli Affari religiosi e lo stesso esecutivo (in Malaysia la Costituzione riconosce agli autoctoni – i pribumi – il diritto ad essere maggioranza nelle istituzioni e l'islam è religione di stato) il termine Allah poteva essere usato solo dai musulmani. Ma la redazione di Herald si era ribellata sostenendo che se i musulmani usano indifferentemente le due parole (in arabo Allah significa effettivamente Iddio) non si capiva perché non si potesse fare altrettanto sulla stampa cristiana. Dopo tre anni e un ricorso, l'Alta corte ha dato ragione all'Herald scatenando l'ira di alcuni gruppuscoli come il movimento giovanile musulmano “Abim” secondo cui l'uso improprio di Allah al posto di Dio sarebbe solo una surrettizia propaganda filo cristiana. Il governo malaysiano ha già annunciato ricorso sulla sentenza dell'Alta corte ma al tempo stesso ora si trova nell'imbarazzante situazione di vedersi scavalcato da gruppuscoli islamisti radicali che sono andati ben al di là addirittura del Pas (Parti Islam SeMalaysia), il partito islamista “istituzionale” secondo il quale non si può contestare la sentenza dal momento che sia gli ebrei sia i cristiani hanno diritto ad usare il termine Allah tanto quanto i musulmani.
Padre Lawrence getta acqua sul fuoco ma confida le sue preoccupazioni all'agenzia AsiaNews: “La protesta non ha fatto registrare incidenti perché la polizia ha fatto un buon lavoro e si impegna a mantenere la calma per prevenire un’escalation delle violenze”. La situazione non è ancora di pericolo ma, aggiunge, “siamo preoccupati”.
L'equilibrio etnico-religioso della Malaysia è una scommessa che dura da tempo. Durante l'epoca coloniale, i britannici importarono mano d'opera cinese e indiana per il lavoro nelle piantagioni di gomma. In seguito la diaspora cinese della Malaysia è diventata una delle più fiorenti dell'Asia e gli indiani, che sono in realtà il segmento più debole della società malaysiana, sono invece finiti a fare i lavori più umili o, nei casi più fortunati, a ingrossare le fila delle libere professioni. Una miscela di autoritarismo progressista è sempre riuscita però a tenere, seppur con una bilancia spostata sugli autoctoni, un equilibrio, facilitato dal benessere di un paese ricco e con discriminazioni relativamente sotto controllo. Ma nei periodi di crisi economica le tensioni si acuiscono.
Dopo decenni di dominio incontrastato l'Umno, il partito di maggioranza relativa che capeggia la coalizione del Fronte nazionale da sempre al governo, ha conosciuto una batosta elettorale nel 2008 che ha assicurato a una variegata opposizione molti seggi in parlamento. Il nuovo premier Najib Abdul Razak (nella foto), un economista al suo primo mandato e insediatosi nella primavera del 2009, ha promesso riforme e un governo della crisi economica che gli sta erodendo consenso in un paese dove la religione, molto spesso, viene usata come pretesto politico.
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