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mercoledì 21 aprile 2010

EMERGENCY TRA IPOTESI, FATTI E INTERROGATIVI

Cosa è successo all'improvviso che ha imposto un'accelerazione e una rapida risoluzione del caso Emergency? Un'ipotesi è che la vicenda rischiava di trasformarsi in un boccone avvelenato. Non solo per l'Italia. Qualche idea sulla vicenda della Ong più nota e bistrattata d'Afghanistan

In una vicenda di arresti, trattative, pressioni e rapide liberazioni, restano sempre domande senza risposta. Siamo nel campo delle ipotesi, per quanto surrogate da alcuni fatti, e ne accamperemo qualcuna anche se la saggezza consiglierebbe di non puntare tutto su un solo cavallo, ma sull'insieme delle cause che, unite a un quadro di riferimento assai complesso -una guerra e una tensione fortissima tra Karzai e i suoi alleati- prima hanno creato il caso e poi lo hanno avviato a una soluzione inaspettatamente veloce. La conclusione è che non poteva che andare così. Il dossier Emergency non doveva durare e doveva comunque risolversi prima del 12 maggio, giorno dell'incontro a Washington tra Karzai e Obama. Con quell'antipasto sul tavolo la cena sarebbe andata di traverso a entrambi.

Una delle ipotesi è che Emergency sia stata oggetto di una vendetta fredda dei servizi afgani. Ipotesi molto sensata e che trae le sue origini, nel 2007, dallo “schiaffo Hanefi”: dopo averlo arrestato, accusato di terrorismo e fiancheggiamento, il capo dell'Nsd, Saleh, dovette piegarsi alla ragion di stato. E dopo meno di cento giorni l'uomo di Emergency uscì di galera incolume e prosciolto da ogni accusa.

Quel che è certo è che colpire gli umanitari è semplice e che il momento era propizio. Karzai ha bisogno di dimostrare che, in casa sua, è lui che porta i pantaloni: qualsiasi iniziativa che metta sotto schiaffo gli alleati gli sarebbe andata bene, purché fosse lui poi a togliere, magnanimamente, le castagne dal fuoco. Che invece la cosa sia stata preparata ad arte per togliere Emergency di mezzo, teoria cara a Gino Strada, è un'ipotesi possibile ma improbabile. Tolta Emergency da Lashkargah, il vero problema sarà di carattere sanitario, perché è l'unico centro chirurgico d'eccellenza della regione. Ma testimoni scomodi -anche più scomodi di Emergency perché più autorevoli- ne rimangono, eccome: c'è l'Onu, la Croce rossa e gli afgani stessi cui le vittime civili non piacciono anche perché sempre di afgani si tratta. Forse è più corretto dire che di Emergency, a parte i feriti, nessuno sentirà la mancanza. Non Saleh, non la Nato, non il governatore. E forse nemmeno il governo italiano.

Se si esclude il complotto -per vendetta o con l'obiettivo di far fuori Emergency- resta comunque una manina perfida e quel che sembra un piano ben architettato. Con un seguito pericoloso e forse imprevisto. Tanto per cominciare il volo di Garatti del sabato mattina per Kabul è cancellato. Per le linee aeree locali non è che sia una novità. Anzi è una non notizia. Ma se questo lo si mette assieme al falso allarme bomba, che allontana per qualche ora gli internazionali dall'ospedale, allora gli indizi sono due. E sono tre se è vero quanto una gola profonda dichiara al Corriere sin da subito: che si era voluto attendere che l'ambasciatore Sequi, insignito della più alta onorificenza afgana, lasciasse il Paese per non fargli uno sgarbo. Dietrologia? Può essere, però gli indizi salgono a tre. Ma se il blitz è stato preparato (anche nell'ipotesi di una semplice soffiata), come mai gli italiani non sono avvertiti dell'imminente arresto di tre connazionali? Perlomeno, stando a quanto è noto ufficialmente, la notizia arriva in Italia all'ora di pranzo, ossia poco prima se non durante il blitz. Si dirà che la polizia francese non è tenuta ad avvertire l'ambasciata italiana dell'arresto di un emiliano a Lione. Ma se si tratta di operazioni complesse come mafia o terrorismo – a meno che non ci si fidi del Paese in questione- una telefonata si fa. E fin qui saremmo alla scortesia, a una non grave leggerezza.

Il buco nero si apre invece se all'interno della medesima alleanza militare impegnata in un conflitto, quindi quando la comunicazione interna è preziosa e doverosa, un alleato non avverte l'altro. E sulla scena del delitto ecco comparire un allampanato britannico, un soldatino della Perfida Albione ma con mostrine Isaf. Inglesi goddamn! Gli stessi che il giorno dopo, via Times, avallano la bufala della confessione. Gli stessi, accidenti, che accusarono gli italiani di pagare i talebani. Complotto a Downing Street? No. Semplicemente un militare della Nato (poco conta la nazionalità), alleati con l'Italia nella coalizione Isaf Nato, si guardano bene, a quanto sappiamo, di avvisarla che una bufera si sta addensando sopra la testa del quarto Paese per contributo di uomini alla stessa medesima alleanza. Questa si, se confermata, leggerezza grave e intollerabile.

Quando in alto ci si è accorti che il caso di Emergency poteva diventare un caso Nato, si è corsi ai ripari. Forse facendo pressioni su Roma e Kabul per chiudere in tutta fretta. Per disinnescare l'antipasto avvelenato in vista del 12 maggio alla Casa Bianca.

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