Contractor, logistica, acque minerali e lacci per le scarpe. Business miliardario che alimenta il conflitto e finanzia persino il nemico. Altro che Exit strategy. In Afghanistan si combatte anche per portare la carta igienica da Bagram a Kandahar
All'aeroporto militare di Herat l'attesa per l'imbarco sul C-130 dell'aviazione italiana in partenza per Kabul si fa lunga. Gli alpini della Taurinense e i paracadutisti della Folgore bighellonano nel grande hangar fumando e chiacchierando. Gli americani, che hanno una casermetta all'interno di Camp Arena, il comando Ovest della Nato/Isaf affidato alla responsabilità italiana, si accovacciano nelle loro mimetiche grigio topo tirando fuori i libri. Un nero sta leggendo “Storia del black power negli Stati uniti”. Una bionda un po' sovrappeso divora un giallo in edizione supereconomica, il fucile appoggiato alla zaino. Il volo annuncia ritardo. Dopo una mezzoretta arriva anche un altro manipolo di aviotrasportati. Omaccioni con berretto di lana e abiti civili. Al massimo qualche orpello militaresco, pantaloni con ampie tasche e scarponi da montagna. Solo le armi, nemmeno tanto esibite, fanno capire subito che questi gentiluomini, che se ne stanno rigorosamente in disparte, sono un'altra razza di combattenti. Sono “contractor”, i mercenari del XXI secolo, uno dei maggiori business del lato più oscuro della guerra: soldi e mitraglia, l'ora et labora di un esercito nascosto. La consegna è il silenzio. Non scambiano una battuta e se li fissi troppo a lungo ti affibbiano un'occhiata che fa correre un brivido lungo la schiena. Non mettere il becco che è meglio....
Il seguito su Il Reportage, in libreria
La foto (Herat) è di Romano Martinis
1 commento:
Ciao Emanuele, grazie per la tua disponibilità a rilasciare un intervista per il nostro piccolo giornale. Continua così.
http://lettera21.wordpress.com/2010/04/23/iordana-era-un-popolo-fiero-ed-ironico-ora-depresso-e-triste/
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