
La polemica di Bulaj fa pensare che esiste dunque un altro Afghanistan. Popolato di gente comune: non eroi ma fantasmi che pure mangiano, lavorano, ridono, piangono o fanno l'amore. Tutta questa gente, assente dai nostri racconti, dunque esiste. E cosa c'è di meglio allora che andare a osservarla nel venerdi che chiude definitivamente la lunga pausa di Eid, che sembra aver fatto dimenticare un po' a tutti che qui la guerra è una maledetta quotidianità da oltre trent'anni e che in questo Paese, oltreché di proiettili, si continua a morire anche perché l'acqua è contaminata, la gente non sa come mettere d'accordo il pranzo con la cena o si salta su una mina.
Nei giardini di Babur, antica proprietà del re ora parco pubblico restaurato dalla Fondazione Aga Khan, tutto questo, almeno per un'oretta, si può dimenticare. Frotte di famiglie sciamano nella grande area verde con gli abiti della festa e qualche anguria da spolpare. Le donne non sono tante, in quest'universo perlopiù maschile che è l'Afghanistan, ma ci son bambinetti che corrono sui prati, giovinastri che giocano su qualche scacchiera, anziani dal nobile portamento che schiacciano un pisolino. Una pausa dalla guerra. La finzione che un mondo migliore è possibile. Un po' di sano chiasso invece di plumbeo silenzio. In quest'angolo di pausa dalla realtà – che pure è realtà anch'essa – scorre la vita di quei fantasmi di cui non ci occupiamo mai e che raramente vengono interrogati su quel che pensano. Didascalie mute come alle foto di Monika Bulaj.
>Anche su Terra quotidano ecologista
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