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domenica 10 marzo 2013

LE PRIME GRANE DI CHUCK HAGEL A KABUL


Sulla scena dell'attentato
suicida restano alla fine nove corpi. Due sono poliziotti ma gli altri semplici poveracci che andavano al lavoro o ne andavano in cerca. Una scena che si ripete e che questa volta si consuma, nel centro di Kabul, a pochi metri dal Palazzo di Karzai e dalla grande area del mercato sul fiume. Obiettivo: il ministero della Difesa dove un uomo in bicicletta si fa esplodere alle 9 del mattino, ora di punta. Obiettivo politico: il benvenuto a Chuck Hagel, neo titolare del Pentagono. Nella spaventosa simmetria di questa guerra selvaggia, qualche centinaio di chilometri più a Sud, nella provincia orientale di Khost, altri due attacchi suicidi: il primo in campagna, il secondo nella capitale di provincia. Obiettivo nei due casi la polizia afgana ma il risultato è simile a quello di Kabul. In città due bambini se la cavano con qualche ferita, ma fuori dal perimetro urbano otto loro piccoli coetanei vengono ammazzati dal kamikaze che si porta via anche un poliziotto.

Se Chuck Hagel voleva quel che si dice il suo “battesimo del fuoco” (era già stato a Kabul ma è la prima volta da ministro) l'ha trovato. Il neo segretario alla Difesa, che Obama ha sudato sette camice a nominare, arriva nella notte di venerdi. In agenda ha gli appuntamenti di rigore con Karzai e il suo omologo Bismillah Mohammadi. Hagel, che pur avendo un passato repubblicano si è distinto in passato per essere un fautore dell'exit strategy dall'Afghanistan e uno dei pochi che denunciò l'epopea guerriera del presidente Bush, voleva farsi un'idea di persona. Eccola qua: i talebani gli mandano a dire che conoscono così bene le sue mosse da presentargli il conto appena arrivato.



Ma dietro quella che è ormai la tragica routine del Paese e la consueta prova di forza a colpi di bombe dei talebani (non è la prima volta che accolgono così le visite ufficiali appena le intercettano) c'è anche un altro punto controverso. E che forse ha anche qualcosa a che vedere con la sanguinaria azione di ieri mattina.

Il 9 marzo era infatti il giorno in cui gli americani avrebbero dovuto fare, con una cerimonia importante, il definitivo passaggio di consegne della Parwan Detention Facility anche detta Bagram Theater Internment Facility e assai più nota come “prigione di Bagram”. Bagram è l'ex mega base sovietica, ora in mano americana, che domina una piccola cittadina a 70 chilometri da Kabul. Tra gli hangar in disuso per elicotteri e Mig i marine ne riadattarono uno prigione. Ma anche a luogo di tortura e interrogatorio per talebani o presunti tali che non godevano nemmeno del titolo di “prigionieri di guerra”: uno scandalo cui è stato messo rimedio con nuove costruzioni accanto alla base ora dirette da un generale afgano. Karzai ha fatto della giurisdizione sui questi uomini un punto d'onore e, alla fine, gli americani, un anno fa, hanno ceduto. Ma il passaggio di consegne che doveva completarsi ieri è saltato. Perchè?

La bomba del mattino non c'entra ed è semmai una reazione alla decisione. E la cancellazione non ha spiegazioni ufficiali. Una la dà il New Yor Times. Agli americani non è piaciuto che Karzai mercoledì scorso abbia pubblicamente criticato la lentezza nel passaggio di consegne ma soprattutto che abbia reiterato la promessa, già in parte operativa, di liberare un buon numero di detenuti appena consegnati alla giustizia afgana (un modo anche per distendere i rapporti con mullah Omar). L'agenzia Pajhwok, sostiene invece che ancora l'accordo non c'è, sebbene la cerimonia fosse in calendario e la stampa pronta per raccontarla.

Gli afgani accusano Washington non solo di aver trasferito solo 3000 dei 3082 prigionieri di Bagram (tra cui ci sono 50 non afgani) dalla prigione americana a quella afgana ma affermano che ci sarebbero altri 600 sospetti ancora in mano loro, ossia uomini che gli americani continuano a catturare e che prima vogliono interrogare. Insomma il caso resta controverso e per ora la marcia si è fermata. Come resta ferma quella sulla riconsegna delle basi o sul loro destino dopo il 2014 quando teoricamente la Nato se ne andrà. Non tutta: secondo James Mattis, a capo dell'United States Central Command (Centcom), in Afghanistan resteranno 20mila soldati. Tredicimila americani e il resto forniti dalla Nato. Quanti dall'Italia?

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