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mercoledì 20 marzo 2013

L'IRA DI SONIA


Dopo aver aspettato che la Corte suprema si esprimesse in merito alla decisione italiana di non far rientrare in India i due marò italiani in permesso speciale per votare in Italia, Sonia Gandhi, a capo del Partito del Congresso (al governo) ma anche leader sempre sotto tiro per le sue origini italiane, ha preso ieri una dura posizione su un «tradimento», una decisione «inaccettabile», la «sottovalutazione dell'India». Sul fronte opposto si è invece mossa la Ue, con la prima vera presa di posizione della signora Ashton, responsabile della politica estera comune, che ha in qualche modo spezzato una lancia in favore dell'Italia, o quantomeno delle norme che regolano l'immunità diplomatica.



A margine di un incontro coi deputati del suo partito, Sonia Gandhi, le cui origini italiane le hanno impedito di diventare capo anche del governo, ha detto che «l'atteggiamento di sfida del governo italiano sulla questione dei due marò e il suo tradimento di un impegno con la nostra Corte Suprema sono completamente inaccettabili» e che «nessuno può pensare di sottovalutare l'India» su questa questione. Una questione «in mano alla Corte Suprema e noi ci rimetteremo alle sue decisioni». Quanto all'Unione «deve fare tutto quello che è nelle sue possibilità per riportare indietro» i due fucilieri accusati di omicidio. La Gandhi continua ad essere sotto attacco: sia per le origini italiane sia perché suo marito Rajiv fu coinvolto in scandali che ne offuscarono la carriera politica. Ora, e non è la prima volta, deve dimostrare che le sue origini, quelle si, non sono un tradimento verso il suo Paese.

Quanto all'Unione europea, dopo le restrizioni imposte da Delhi a Daniele Mancini che regge l'ambasciata italiana a Delhi, «ogni limitazione della libertà di movimento dell'ambasciatore d'Italia in India sarebbe contraria agli obblighi previsti dalla Convenzione di Vienna», ha dichiarato in una nota la stessa Catherine Ashton (finora avevano parlato solo i portavoce), che «nota con preoccupazione le ordinanze del 14 e 18 marzo della corte suprema indiana» verso l'ambasciatore italiano con le quali si richiede al diplomatico di chiedere il permesso della Corte per lasciare il Paese. Il capo della diplomazia europea «ricorda che la Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche è la pietra angolare dell'ordine legale internazionale e deve essere rispettata in ogni momento». «Qualsiasi limitazione alla libertà di movimento dell'ambasciatore d'Italia in India sarebbe contraria agli obblighi internazionali previsti da tale Convenzione» conclude la nota che reitera quanto i suoi portavoce affermano da alcuni giorni: L'Alta rappresentante continua a sperare che una soluzione reciprocamente accettabile possa essere trovata «attraverso il dialogo e nel rispetto delle norme internazionali, ed incoraggia entrambe le parti ad esplorare tutte le vie per raggiungere questo risultato». Non proprio un sostegno diretto a Roma ma certamente una difesa d'ufficio del nostro ambasciatore.

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