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martedì 19 marzo 2013

GIUDIZIO SUPREMO

Se la prima notizia è che per la Corte suprema di Delhi l'ambasciatore italiano ha perso la sua immunità diplomatica avendo violato la promessa di riportare in India i fucilieri italiani in licenza per votare, la seconda riguarda la rilevanza internazionale del caso. Che smette di essere un puro contenzioso tra Roma e Delhi e comincia a preoccupare le cancellerie e a occupare il lavoro dei giornalisti. La notizia rimbalza da Delhi a Londra o Pechino, tanto da rimanere in bella evidenza sul sito Internet della Bbc tra le news della giornata, in quello del Guardian tra le “top news” o sulla homepage dell'agenzia cinese Xinhua. Quella che pareva una grana tra due Paesi diventa un caso e si configura come un precedente. Ma andiamo con ordine.



Ieri mattina era fissata l'udienza della Corte suprema indiana per esaminare il caso “marò”. La massima istanza della giustizia indiana voleva valutare il punto di vista dell'ambasciatore Daniele Mancini, la cui firma, con quella dei due fucilieri, ha consentito ai due militari accusati di omicidio di partire per l'Italia per quattro settimane. Per ora la Corte, con tre magistrati presieduti dal presidente Altamas Kabir, ha reiterato il divieto per Mancini di lasciare il Paese. Quanto ai marinai il tribunale vuole aspettare che passi il 22 marzo, giorno in cui dovrebbero tornare. Rinvio dunque al 2 di aprile. Ma col fiato sospeso (in serata ieri la Farnesina ha diffuso un comunicato sostenendole sue ragioni).

Altamas Kabir ha sostenuto che quando Mancini ha presentato alla Corte stessa, insieme ai marò, una dichiarazione giurata per consentirne l'espatrio, l'ambasciatore ha «automaticamente perso il diritto all'immunità». Ma il presidente ha anche voluto aggiungere di aver «perso ogni fiducia nel signor Mancini...alcune persone stanno scrivendo che siamo ingenui. Ma non ci aspettavamo tale comportamento dall'Italia». Quanto ai marò «non hanno ancora violato le nostre direttive» dal momento che il 22 marzo non è ancora passato. Il difensore dei tre italiani, l'avvocato Mukul Rohatgi, ha invece ricordato alla Corte che, in base alla Convenzione di Vienna, la persona dell'ambasciatore è inviolabile e che quindi «nessuna autorità indiana può imporre restrizioni sui suoi movimenti». Qui sta il punto più delicato e quello che fa del nodo bilaterale un caso internazionale.



Andrew North, il corrispondente della Bbc da Delhi, ricorda una famoso e recente caso inglese: quando Londra minacciò l'immunità stessa dell'ambasciata ecuadoriana in Gran Bretagna in cui Assange ha trovato rifugio (poi Londra evitò il blitz). Ma, aggiunge il giornalista, «questa vicenda ha fatto infuriare gli indiani così tanto che il governo è obbligato a prendere una posizione dura» e dunque Delhi potrebbe arrivare a «espellere l'ambasciatore». Un gesto eclatante ma che non violerebbe nessun articolo della Convenzione di Vienna che regola l'immunità dei diplomatici. Il caso scotta. E imbarazza.

L'Unione europea,
per citare l'area a noi più vicina, è prudentissima. In una nota l'ufficio della responsabile per la politica estera dell'Unione si limita a esprimere «incoraggiamento» per una «soluzione amichevole» nel rispetto delle regole internazionali. Ma è prudente anche Delhi, soprattutto il ministero degli Esteri che ammette che un «conflitto di giurisdizioni va esaminato». E se Mancini dovesse andare in Nepal, della cui sede diplomatica è responsabile? «Per ora – dicono - non siamo stati informati di suoi piani in questo senso».

Un serrato dibattito accompagna la vicenda. In un'intervista televisiva, l'ex avvocato degli italiani, Harish Salve, ha spiegato che il peccato originale è stato indiano: poiché la Corte suprema aveva tolto la giurisdizione del caso al Kerala era necessaria una corte speciale. Non avendola creata, ha messo gli italiani nella condizione di avere due “prigionieri” ma non il giudice, cosa che ha fatto dei marò due “eroi” nazionali. Ma Salve sostiene anche che adesso la Corte ha ragione e che Mancini, avendo tradito la parola, rischia la galera. Anche un altro autorevole commentatore, M K Bhadrakumar su AsiaTimes, critica Delhi: governo nazionale e locale hanno maneggiato la materia con un calcolo più basato sulla rendita politica del caso che sulla sostanza o sui suoi possibili effetti internazionali.

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