Alcuni
mesi fa, poco prima dell'estate, il Prt di Herat (la struttura della
Difesa che interviene sul settore civile) ha messo in piedi, su
richiesta del governatorato della provincia, un centro per la
tossicodipendenza per 50 persone. A tempo di record la struttura è
stata terminata a fine anno e inaugurata in gennaio dal viceministro
del dicastero della Salute da cui il centro dipende. Andiamo a
visitarlo accompagnati dal colonnello Vincenzo Grasso, attuale responsabile
del Prt (Provincial Reconstruction Team), le unità civile-militare
spesso oggetto di polemiche e che adesso, a fine marzo, considerano
concluse attività durate quasi dieci anni. Il colonnello è
soddisfatto del Centro e in effetti ne ha ben donde. La struttura si
aggiunge ad altri sette centri della città e a un capannone in cui
la polizia si occupa di dare ricovero ai tossicodipendenti trovati per
strada e che non hanno un tetto o non sono in condizione di andare a casa.
Il
centro non è distante dall'aeroporto ed è gestito da un medico, il
dottor Zalmai Ataie, che ha preso ispirazione da Wadan,
un'organizzazione non governativa iraniana attiva in Afghanistan (dieci centri e due ambulatori) dal
...2003 (il primo progetto è stato finanziato dall'Unodc con 1200
dollari!). Lo spirito è
quello dell'accesso su base volontaria e, in Afghanistan, la “cura”
dura sei settimane (dentro) e un programma di monitoraggio che dura
fino a sei mesi (fuori). La percentuale di successo in genere è
bassa: il 90% dei pazienti ricade nell'uso. Ma per ora statistiche il
nostro Centro non è in grado di farne. E' ancora presto. Non c'è
trattamento medico (se non sintomatologico per dolori di testa o alle
articolazioni) e i pazienti vengono seguiti con un sostegno
psicologico, colloqui personali e con le famiglie. Il centro ha una
piccola sala di ricreazione (stanno aspettando un biliardo), una
grande sala per incontri collettivi, salette per colloqui con le
famiglie e le stanze con i letti (il centro vorrebbe ospitare
cento pazienti). C'è anche una piscina (per ora non in funzione).
Progettato da ingegneri italiani e afgani, è una bella
struttura luminosa e non invasiva, di un certo gusto e costruita con
materiali di qualità, pensata per innalzarsi di un piano se, come si
vorrebbe, il centro potesse ospitare anche donne. Il fenomeno della
tossicodipendenza riguarda circa il 3% degli afgani, ossia un milione
di persone di cui l'80% sono maschi e il 13% donne (il 7% minori). Il
dottor Zalmai sostiene che la causa principale della
tossicodipendenza è la povertà unita alla mancanza si lavoro. Ma è
noto che un'influenza marcata sulla crescita del fenomeno sta nel
fatto che molti sono ex rifugiati o migranti: gente che ha iniziato a
usare oppiacei in Iran proprio per sostenere i ritmi di lavoro. Una
volta a casa, in Afghanistan, il reperimento di oppio o eroina è ancora più facile e a prezzi accessibili. L'uso di siringhe, dice il
dottore, non è ancora molto diffuso.
Nella
sala comune, una quarantina di pazienti (dai 30 ai 40 anni), sta
ascoltando un medico. Ci salutano e scambiano qualche sorriso con
noi. Questo centro è in effetti una delle poche strutture pensate
apposta per i tossicodipendenti, un tema relativamente recente e con
numeri in crescita: fino a qualche anno fa il problema veniva risolto
chiudendo gli occhi e girando le spalle o indirizzando i pazienti
all'ospedale psichiatrico (che in realtà esiste solo a Kabul). Lasciamo da parte le strutture private che non mancano mai. Capirne di più non è semplice: i dati scarseggiano, le statistiche
sono scarne, il problemaviene ancora affrontato più su base volontaria
che con un vero e proprio piano del governo. Il centro pratica anche
un esame per valutare la presenza di epatite o sieropositività. Ha
23 persone impiegate tra medici e paramedici. ,. a quanto sembra,
una gran voglia di darsi da fare, una certa competenza e il desiderio
di saperne di più magari col sostegno di qualche Paese (vedi Italia)
che conosce il problema da tempo.
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