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giovedì 6 marzo 2014

Tossicodipendenza, il nuovo centro di Herat

Alcuni mesi fa, poco prima dell'estate, il Prt di Herat (la struttura della Difesa che interviene sul settore civile) ha messo in piedi, su richiesta del governatorato della provincia, un centro per la tossicodipendenza per 50 persone. A tempo di record la struttura è stata terminata a fine anno e inaugurata in gennaio dal viceministro del dicastero della Salute da cui il centro dipende. Andiamo a visitarlo accompagnati dal colonnello Vincenzo Grasso, attuale responsabile del Prt (Provincial Reconstruction Team), le unità civile-militare spesso oggetto di polemiche e che adesso, a fine marzo, considerano concluse attività durate quasi dieci anni. Il colonnello è soddisfatto del Centro e in effetti ne ha ben donde. La struttura si aggiunge ad altri sette centri della città e a un capannone in cui la polizia si occupa di dare ricovero ai tossicodipendenti trovati per strada e che non hanno un tetto o non sono in condizione di andare a casa.

Il centro non è distante dall'aeroporto ed è gestito da un medico, il dottor Zalmai Ataie, che ha preso ispirazione da Wadan, un'organizzazione non governativa iraniana attiva in Afghanistan (dieci centri e due ambulatori) dal ...2003 (il primo progetto è stato finanziato dall'Unodc con 1200 dollari!). Lo spirito è quello dell'accesso su base volontaria e, in Afghanistan, la “cura” dura sei settimane (dentro) e un programma di monitoraggio che dura fino a sei mesi (fuori). La percentuale di successo in genere è bassa: il 90% dei pazienti ricade nell'uso. Ma per ora statistiche il nostro Centro non è in grado di farne. E' ancora presto. Non c'è trattamento medico (se non sintomatologico per dolori di testa o alle articolazioni) e i pazienti vengono seguiti con un sostegno psicologico, colloqui personali e con le famiglie. Il centro ha una piccola sala di ricreazione (stanno aspettando un biliardo), una grande sala per incontri collettivi, salette per colloqui con le famiglie e le stanze con i letti (il centro vorrebbe ospitare cento pazienti). C'è anche una piscina (per ora non in funzione).

Progettato da ingegneri italiani e afgani, è una bella struttura luminosa e non invasiva, di un certo gusto e costruita con materiali di qualità, pensata per innalzarsi di un piano se, come si vorrebbe, il centro potesse ospitare anche donne. Il fenomeno della tossicodipendenza riguarda circa il 3% degli afgani, ossia un milione di persone di cui l'80% sono maschi e il 13% donne (il 7% minori). Il dottor Zalmai sostiene che la causa principale della tossicodipendenza è la povertà unita alla mancanza si lavoro. Ma è noto che un'influenza marcata sulla crescita del fenomeno sta nel fatto che molti sono ex rifugiati o migranti: gente che ha iniziato a usare oppiacei in Iran proprio per sostenere i ritmi di lavoro. Una volta a casa, in Afghanistan, il reperimento di oppio o eroina è ancora più facile e a prezzi accessibili. L'uso di siringhe, dice il dottore, non è ancora molto diffuso.


Nella sala comune, una quarantina di pazienti (dai 30 ai 40 anni), sta ascoltando un medico. Ci salutano e scambiano qualche sorriso con noi. Questo centro è in effetti una delle poche strutture pensate apposta per i tossicodipendenti, un tema relativamente recente e con numeri in crescita: fino a qualche anno fa il problema veniva risolto chiudendo gli occhi e girando le spalle o indirizzando i pazienti all'ospedale psichiatrico (che in realtà esiste solo a Kabul). Lasciamo da parte le strutture private che non mancano mai. Capirne di più non è semplice: i dati scarseggiano, le statistiche sono scarne, il problemaviene ancora affrontato più su base volontaria che con un vero e proprio piano del governo. Il centro pratica anche un esame per valutare la presenza di epatite o sieropositività. Ha 23 persone impiegate tra medici e paramedici. ,. a quanto sembra, una gran voglia di darsi da fare, una certa competenza e il desiderio di saperne di più magari col sostegno di qualche Paese (vedi Italia) che conosce il problema da tempo.

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