Dall'Afghanistan,
tutto sommato, arrivano buone notizie. L'affluenza
alle urne ha superato abbondantemente il 50%, toccando quasi il 60%.
Per un Paese che si affaccia da pochi anni su questa strada e che è
in guerra da trent'anni è un gran risultato.
Su 12 milioni di aventi diritto, solo 7 si sono
presentati alle urne ma nel 2009, gli elettori che avevano infilato
nell'urna la scheda in quella contestatissima tornata elettorale,
avevano di poco superato i 4 milioni. In un Paese dove la guerriglia
ha minacciato chiunque abbia voluto votare e dove sabato si sono
registrate più di un centinaio di intimidazioni e atti di violenza
(con un bilancio di oltre una ventina di morti), recarsi alle urne
è una scelta coraggiosa e complessa. Nel 2009, i talebani amputarono
le dita di molti tra coloro che avevano votato. Questa volta, le
immagini restituiteci dal Paese, mostravano afgani e afgane (il 34%
degli elettori, una percentuale elevatissima per per quel Paese) che
esibivano quel dito macchiato di inchiostro con orgoglio. Il dito
marcato da una tinta indelebile - il sistema per evitare il doppio
voto - è diventato un'esibizione di dignità democratica assai più
che la prova di un broglio sventato. E a Kandahar, città del
conflitto per eccellenza, l'affluenza ha superato le aspettative.
In questo collage dell'agenzia Pajhwok gli otto candidati in corsa. Nessuno tra loro può farcela al primo turno |
Verso
il ballottaggio
Quasi due terzi delle forze di sicurezza nazionali schierate a difesa dei seggi: prova superata |
Naturalmente
la conta dei voti potrebbe presentare sorprese. Sarà lunga (non si
avranno risultati certi prima del 24 maggio) e la Commissione
elettorale aveva già ricevuto 200 contestazioni ufficialmente
depositate nella sola giornata di sabato (che il giorno dopo erano già 600). Ma è una cifra bassa e che
in gran parte riguarda gli orari di apertura dei seggi. Nulla che per
ora faccia pensare a una contestazione massiccia delle operazioni di
voto. Le mosse dei talebani (tra cui la minaccia agli osservatori
internazionale con la strage all'Hotel Serena alla viglia del voto)
non ha impedito il loro lavoro né quello degli oltre 190mila soldati
e poliziotti schierati a difesa delle urne. Considerato che questa
tornata si è svolta senza la presenza alle urne dei soldati
internazionali (che pure restano presenti in forze sino alla fine
dell'anno) la dice lunga su una transizione che è andata in porto
con efficacia. Il voto era una prova del fuoco anche per le forze di
sicurezza nazionali. Superata.
Un
Paese che cambia: i giovani e le donne
Un'analisi
della composizione del voto è complessa da fare, ma si può dire con
certezza che, come conterà il segmento di voto femminile,
sicuramente ha contato la percentuale di giovani: due terzi degli
afgani hanno meno di 25 anni e le nuove generazioni usufruiscono di
strumenti impensabili solo quattro o cinque anni fa. Si è alzata la
percentuale di persone istruite e di ingressi all'università. Social
media e Internet, assieme alla televisione (anche questa una realtà
recente come lo è la nascita e la proliferazione dell'attività
giornalistica) hanno giocato un ruolo importante. Non con numeri
enormi ma con percentuali interessanti, se è vero che 1,7 milioni di
afgani utilizzano i sm (specie Facebook e Twitter) e che 2,4 milioni
hanno accesso alla rete. Ancora poco, ma se si considera che quasi 20
milioni di afgani usano il telefono (le linee fisse sono pessime ma
quelle cellulari hanno sistemi avanzati), ciò significa che la
comunicazione corre. Veloce, certo, ma soprattutto corre, con un
effetto passaparola a volte in grado di rompere i dettami della
tradizione. Un elemento che ovviamente ha contato.
Retaggi
del passato e alleanze
Hamid Karzai: punta su Zalmai Rassoul |
In un
Paese dove la struttura tribal-famigliare ha ancora un peso enorme,
capi villaggio e malek, signori della guerra e signori della terra,
hanno sicuramente avuto un peso enorme nell'orientamento del voto. Su
questa struttura, che comunque la modernità tecnologica ha
contaminato, hanno puntato i candidati, specie i tre front-runner:
Abudllah Abdullah, Ashraf Ghani e Zalmai Rassoul. Tra loro,
nell'inevitabile ballottaggio, si sceglierà il presidente.
Tutti
e tre hanno equilibrato socialmente, attraverso due vicepresidenti
proposti in ticket, la capacità di raggiungere i voti in palio: una
miscela che ha fatto scegliere tra i vice presidenti anche persone
poco presentabili, come rappresentanti di correnti islamiste radicali
o di antiche signorie territoriali. Il caso più eclatante è quello
di Ashraf Ghani, un passato alla Banca mondiale, modi e discorsi
urbani e moderati improntati a realismo e pragmatismo, ma anche un
apparentamento col generale Dostum, uomo dell'ex regime comunista di
Najibullah poi passato ai mujaheddin e abilmente riciclatosi negli
anni. Ma in grado di controllare centinaia di migliaia di voti nel
Nord del Paese. E' il caso anche di Abdullah Abdullah, il medico
personale di Ahmad Shah Massud ed erede spirituale dell'Alleanza del
Nord che sconfisse i talebani nel 2001, apparentatosi con Mohammad
Mohaqeq, mullah fondatore di un partito islamista entrato in rotta
doi collisione con Karzai (e con Ghani). Più meditata la scelta di
Zalmai Rassoul (che corre con Habiba Sarobi, stimata governatrice
della provincia di Bamyan), che porta però la pecca di essere
considerato il “cavallo di Karzai”. E che, alla vigilia del voto,
ha ususfruito del ritiro di due candidati vicini al prsidente (uno
era il fratello di Karzai, Qayum) che hanno deciso di rivesare il
proprio peso sull'ex ministro degli Esteri. Ognuno di loro ha
utilizzato l'antica bilancia etnico tribale per assicurarsi voti,
guardando più a quella che alla impeccabilità dei propri alleati.
Chi non aveva queste relazioni (come Rassoul e Ghani) si è infatti
affidato, più o meno dietro alle quinte, a chi poteva garantirgli
una rete sul territorio (come nel caso di Dostum o appunto di Kazai).
Chi voleva strizzare invece l'occhio all'islam radicale (è il caso
di Abdullah) ha scelto un uomo potente nei circoli religiosi...
Favori che bisognerà restituire.
Le
incognite del futuro
Veduta aerea della base di Bagram: l'accordo con gli Usa prevede per loro il controllo di nove siti nel Paese |
Il
nuovo presidente, chiunque esso sia, ha di fronte tre sfide
colossali. La prima è il rapporto con la guerriglia, ossia la
strategia di un piano di riconciliazione e la capacità di influire
sui vicini di casa, parte importante nella guerra afgana. Non c'è
una traccia precisa di quel che i tre favoriti vogliano fare. Sia
Ghani sia Abdullah sono fieramente anti talebani o lo sono i loro
sodali. Rassoul è ovviamente più in linea con la strategia di
Karzai: un approccio morbido che porti all'apertura di un tavolo.
Connesso al rapporto con la guerriglia (complicato dalla
disomogeneità del movimento talebano e dalla presenza di gruppi con
agende diverse, spesso manovrati dall'estero o semplicemente legati
alla criminalità), c'è quello con gli alleati: Washington da una
parte e Bruxelles (intesa soprattutto come sede della Nato)
dall'altra. Tutti e tre i candidati hanno già detto di voler firmare
il patto di partenariato strategico con gli Stati uniti messo in
stand-by da Karzai (e da cui dipende anche il patto tra Kabul e
l'Alleanza atlantica). Ma il tempo corre e la scadenza del 2014 si
avvicina. Inoltre la gestione di questo dossier accontenterà molti
ma scontenterà altri e complicherà il possibile rapporto con i
talebani. Infine l'economia.
Le
risposte agli elettori
Per lo
più ignorato, questo è il tasto più dolente: i giovani elettori
sono gli stessi che, al ritmo di 400mila all'anno, entrano in un
mercato del lavoro asfittico, minato dalla fine delle commesse
internazionali e, negli ultimi mesi, entrato in una decisa fase di
stallo figlia delle incognite legate alla nuova presidenza, al
negoziato di pace, all'accordo con gli alleati da cui dipende il 90%
del Pil del Paese. Anche a questi giovani elettori si dovrà dare una
risposta. Forse la più difficile.
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