Nell'estate
del 1974 offrii una cena a un bambino di strada di Kathmandu. Avevo
20 anni e lui forse 12 o 13. Era coperto di stracci e aveva commosso
la mia anima di giovane viaggiatore solidale. Mangiò “a quattro palmenti”, come
avrebbe detto mia madre, e alla fine del pasto mi seguì sin sulla
soglia dell'albergo. Voleva dormire lì, con me, al riparo almeno
per una notte, forse due. Stavo per cedere a quella richiesta
straziante, convinto che almeno per due giorni la sua vita sarebbe
stata diversa, si sarebbe lavato, gli avrei comprato dei vestiti. Ma
gli amici che erano con me mi convinsero del contrario. Non c'erano
allora leggi contro la porno pedofilia ma valeva la regola del buon
senso: "Se lo ospiti una notte come potrai cacciarlo il giorno dopo? E
cosa avrai risolto se non di alimentare il suo odio per noi casta
turistica? Il pranzo va bene, la notte in albergo no". Col pianto nel
cuore salutai il ragazzo. Credo ancora di ricordare i suoi occhi
brillanti su quel faccino lercio e sbavato dal muco. Stette lì
sull'uscio per qualche ora e poi sparì nella notte incipiente.
Ecco
perché resto prudente sul caso dell'ambasciatore Daniele Bosio.
Resto garantista finché un tribunale, con tutti i limiti della
giustizia, non avrà accertato. Spero che Bosio sia assistito con
cura ma che le accuse, se provate, gli valgano una severa punizione.
Son cose delicate. Ma la questione è un'altra.
Se anziché un giovane frikkettone fossi stato un diplomatico – con qualche anno in più sulle spalle – non avrei invitato il bambino a cena né mi sarebbe passato per la testa di farmi seguire in albergo. Avrei allargato il mio portafoglio ed elargito una cifra che mi mettesse a posto la coscienza per un quarto d'ora. Ma – credo - avrei avuto ben presente non solo e non tanto il buon senso dei miei amici di allora, quanto l'abito ufficiale e pubblico rivestito al momento. La feluca insomma portata, seppur virtualmente, sul capo
Il
fatto grave dell'episodio di Laguna è che Bosio, innocente o no, è
un diplomatico di rango con qualifica di ambasciatore reggente di una
legazione all'estero. Qualunque suo gesto è passibile di censura,
critica, esposizione pubblica. Il turista è tenuto a non fare certe
cose ma il diplomatico deve fare ancora di più: non mettersi
lontanamente nella condizione di essere, pur se innocente, ricattato:
magari il capro espiatorio di una trappola studiata per danneggiare
il Paese che rappresenta.
La Farnesina, sopra una feluca (prefettizia) |
1 commento:
Perfettamente d'accordo. Condivido, e io pur essendo donna ho sempre cercato di mediare, riflettere, in tutte le situazioni in cui il cosiddetto " aiuto" doveva essere tale.
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