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sabato 10 gennaio 2015

Sri Lanka the day after

Ribaltando ogni previsione il candidato dell'opposizione Maithripala Sirisena ha clamorosamente battuto – in elezioni considerate regolari e trasparenti – l'ormai ex presidente dello Sri Lanka Mahinda Rajapaksa, da dieci anni a capo dell'isola che costituisce la punta finale del subcontinente indiano. Un morto e qualche incidente minore da registrare: un record in positivo che ora costituisce un primato.

Opposizione in realtà è una parola grossa. E anche “ex presidente” potrebbe esserlo. Sia perché Sirisena fa parte dello stesso partito di Rajapaksa – lo Sri Lanka Freedom Party - e sino a qualche mese fa era ministro nel suo governo, sia perché non è ancora chiaro cosa sarà la“transizione morbida” appena promessa dal perdente. A cui va comunque reso un merito: aver riconosciuto la sconfitta sin dalle prime proiezioni che davano Sirisena sopra il 50% e lui appena oltre il 40. E averla accettata sin dalle prime ore del mattino, quando Colombo si è svegliata dopo essere andata a letto – a urne chiuse – col peso dell'incognita di una controversa elezione, voluta da Rajapaksa con due anni d'anticipo sulla scadenza naturale e dopo un emendamento costituzionale che gli ha consentito di correre per un terzo mandato.
La strana e inaspettata vittoria elettorale di Sirisena comincia dunque ieri mattina verso le 11 quando l'auto scura di Rajapaksa lascia la residenza su Galle Road per raggiungere il palazzo presidenziale. Lì davanti c'è solo qualche curioso e diversi agenti della sicurezza in divisa e in borghese che bloccano la larga arteria che dal lungomare porta a palazzo, nella zona di “Fort”, parte antica e coloniale della città. La capitale è vuota come durante il voto perché per tre giorni negozi, scuole e uffici restano chiusi. Non c'è ombra di traffico e nemmeno lo schieramento di polizia che era lecito aspettarsi. Mancano solo sette ore al trionfo ufficiale di Sirisena che alle sei del pomeriggio viene ritualmente insediato con una cerimonia pubblica nella grande piazza dell'Indipendenza, dove si affollano monaci buddisti, famiglie della classe media e tutta la diplomazia della capitale. Sfilano i parlamentari e i leader politici. Sirisena arriva per ultimo. Rajapaksa invece resta a casa, in disparte.

Bagno di folla sì, ma con numeri davvero piccoli se comparati a un'affluenza alle urne che in certe aree è volata oltre il 70%, percentuale che si è vista anche nel Nord tamil, regione in guerra per anni con Colombo e poco propensa a infilare la scheda nell'urna. Tre, quattromila persone si accalcano sotto un palco enorme sovrastato dal tetto a pagoda allungata della vasta piazza. Silenzio quando passano alcuni azzimati deputati e un lungo applauso all'arrivo di Sirisena, un signore dall'aria vagamente dimessa e che non ha proprio l'aura del leader roboante e pigliatutto che è stata invece la cifra di Rajapaksa. Per dirla tutta, l'applauso popolare più vigoroso lo strappa forse Sarath Fonseka, il generale prestato alla politica che nel 2010 aveva sfidato proprio Rajapaksa e che, dopo la prova elettorale, benché eletto in parlamento, è stato giudicato da una corte militare e si è fatto tre anni di galera. Grandi applausi anche per i leader religiosi con la tunica monacale arancione o bordeaux. Un abito non sempre compassionevole: fra loro ci sono anche personaggi poco rassicuranti, come i monaci guerrieri del Bodu Bala Sena, organizzazione radicale e identitaria vicina al regime e che oggi forse non aveva molto da festeggiare.

Quando la piazza si svuota e cala il buio sul primo giorno dopo il voto, tutti i dubbi riaffiorano. Si, certo, tra tutte le persone cui viene chiesta un'opinione, tutti sono per Sirisena, dal barbiere tamil al manager singalese, dal negoziante al civil servant. Ma quanto le cose cambieranno? Quanto le promesse fatte dal palco faranno strada in un Paese ancora dilaniato sia dalle ferite di una guerra durata oltre vent'anni anni con un bilancio di 100mila morti sia dalla condizione amara in cui vivono le minoranze – etniche e religiose, tamil e musulmane – il cui voto è stato determinante (nel 2010 i tamil in gran parte disertarono le rune) per sconfiggere Rajapaksa?

Sirisena viene dallo suo stesso partito e di quel partito è stato persino segretario. Può darsi che non gli piacessero i modi spicci del presidente e forse nemmeno i suoi accenti ipernazionalisti, ma è un fatto che - qualcuno dice - la sera prima era a cena con lui e il giorno dopo ne era l'avversario. Il sospetto di un accordo non è forse peregrino. Larghe intese in salsa curry.




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