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venerdì 27 marzo 2015

La guerra nel giardino di casa: prima ti bastono poi (semmai) parliamo

Infografica di Al Jazeera: anche
 la tv del Qatar  in queste ore è
 un pezzo di propaganda probellica
L'attacco deciso dall'Arabia saudita - cui partecipano i Paesi del Golfo con l'appoggio giordano, egiziano, marocchino e pachistano con l'avallo di Stati uniti e Gran Bretagna, costituisce un pericolosissimo precedente. Non che sia la prima volta che un Paese decide di intervenire nel giardino di casa (gli Usa a Panama ad esempio nel 1989 ) ma è forse la prima volta che, in tempi rapidissimi, una coalizione di volenterosi si mette assieme e manda cento caccia a bombardare senza nemmeno tentare né un passaggio negoziale, né il coinvolgimento – almeno di facciata – delle Nazioni unite. Avallo delle grandi potenze da una parte, silenzio degli altri grandi attori dall'altro (con l'esclusione di Cina e Russia e ovviamente dell'Iran) sono il corollario perfetto che ammette le soluzioni di fatto nelle aree di rispetto delle proprie zone di interesse. Da lì alla guerra permanente e diffusa in cui ciascuno decide il destino della sua aerea di influenza con le armi grazie al silenzio assenso degli alleati, il passo è così breve che è forse già stato fatto. Se almeno prima c'era una sorta di passaggio negoziale che teneva conto almeno simbolicamente del parere altrui, adesso va bene così. Certo, Israele ha fatto altrettanto a Gaza, ma lo Yemen, a differenza di Gaza, è uno Stato sovrano riconosciuto a livello internazionale. Dal punto di vista del diritto (da quello umano è la stesa cosa), siamo di fronte a un passaggio radicale più preoccupante, del resto già avvenuto nel 2009 quando Riad attaccò il Bahrein nel silenzio assenso generale. 

L'unione europea?

 Federica Mogherini
L'unica  voce fuori dal coro è stata ieri quella di Federica Mogherini che ha twittato come “la guerra non sia mai la soluzione”, ma è poco. Un tweet (che riprende il suo comunicato ufficiale) non è sufficiente a mettere un paletto anche se alla responsabile della diplomazia europea tocca tener conto del fatto che uno dei Paesi membri più importanti, la Gran Bretagna, aveva appena assicurato il suo avallo a Riad e compagni limitandosi ad aggiungere che “una soluzione negoziale va trovata”. Da questo punto di vista il tweet di Mogherini è persino coraggioso (non sarà certo piaciuto né a Londra, né a Parigi) ma resta poca cosa. Si sta ormai ribaltando un concetto chiave dei rapporti internazionali: il “prima ti bastono e poi parliamo” surclassa la regola elementare secondo cui “prima parliamo poi, nel caso, ti bastono”. Si lascia spazio al solo bastone. Poi probabilmente non si parlerà neppure. E' questo il mondo che vogliamo? 

L'Italia

L'export italiano di armi italiane tra il 2005–2009
 e il 2010–14 è cresciuto  di oltre il 30% 
Temo che quanto sta accadendo abbia lasciato indifferenti i più: oggi sui giornali italiani c'è più spazio ala vicenda, ma ieri La Repubblica, quotidiano progressista, dedicava alla guerra un trafiletto a pagina 17 (di contorno alla notizia sui jihadisti nostrani) e invece il primo sfoglio alla tragedia dell'areo caduto in Francia. Centocinquanta morti sono una (cattiva) notizia, ma una guerra nemmeno tanto lontano da casa non meriterebbe altrettanto? E l'Italia del resto che fa? Sembra, al solito, poco conscia di quello che accade e del ruolo che potrebbe avere. Anzi poco conscia del ruolo che ha; sauditi e Paesi del Golfo sono i primi acquirenti delle nostre armi e Roma non si è neppure sognata di fare come la Germania che ha decretato lo stop di vendite a Riad dopo che sono venute alla luce le sue responsabilità nella nascita e crescita dell'Is (per la verità il governo non ha smentito né ammesso la notizia della Bild). Potremmo almeno smettere di finanziare la guerra? 

Guerra per procura

 Guerra sia detto lateralmente, il cui evidente obiettivo non è certo lo Yemen. La guerra strisciante tra Riad e Teheran sta emergendo in superficie. Forse è il caso di pensarci un momento. Altro che minaccia terroristica. La guerra è alle porte e noi le stiamo dando le spalle (si veda l'ottimo articolo di Michele Giorgio oggi su il manifesto).


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