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giovedì 30 luglio 2015

Il Grande Gioco in Pakistan dopo la morte di mullah Omar e l'accordo tra Iran e Usa

La bandiera dell'Armata di Jhangvi: si riferisce a Haq

Nawaz Jhangvi fondatore di Sipah- e -Sahaba Pakistan, gruppo islamista sunnita
nato nel 1980. Lashkar-e-Jangvi nasce nel 1996. Entrambi si rifanno 
alla tradizione Deobandi, la scuola islamista del subcontinente 



Mentre si diffondeva la notizia della presunta morte di mullah Omar, da morte sicuramente certa veniva colpito in Pakistan Malik Ishaq, capo di Lashkar-e-Jhangvi, sanguinario gruppo estremista anti sciita. Catturato una settimana, Malik è stato ucciso (coi figli Usman e Haq Nawaz e altri 11 militanti della sua organizzazione) durante un tentativo per liberarlo che è finito con la morte di tutti e 14 i militanti, uccisi dalle forze di sicurezza pachistane. Benché al bando da anni, Lashkar-e-Jhangvi ha sempre goduto di una certa impunità. Lo stesso Malik, pluriaccusato per stragi che hanno ucciso decine di sciiti, ha fatto 14 anni di prigione ma nel 2011 è uscito e, arrestato più volte, è sempre stato liberato. Ora però il gruppo settario e filo qaedista è nel mirino come quasi tutte le formazioni radical-islamiste del Paese. Qualcosa sta cambiando e non si tratta di un mero fatto nazionale.



Nel quadro confuso di una guerra antica scatenata dai gruppi settari anti sciiti (cui non pare estranea la mano dei Paesi del Golfo) si è aggiunto il caos della nascita di un progetto di Daesh in Pakistan e Afghanistan e una guerra contro il governo ingaggiata dai talebani pachistani del Tehrek-e-Taleban Pakistan, in disaccordo coi cugini afgani (che in cambio dell'ospitalità nei rifugi sicuri del Pakistan si son sempre detti contrari a una guerra contro il regime di Islamabad). Un incendio che è ormai fuori controllo anche perché il potere dei servizi segreti pachistani (più o meno deviati) si è allentato: sia grazie a un tentativo di repulisti nei ranghi dell'Isi da parte del governo, sia perché il quadro jihadista è diventato sempre più disomogeneo con gruppi e gruppuscoli che anziché servire la causa nazionale (disturbare la Nato, controllare il conflitto in Afghanistan, sostenere la battaglia anti indiana per il Kashmir, contenere l'influenza sciito-iraniana) hanno cominciato a giocare una carta propria o quella di altri Paesi. In un gioco che ormai non coincide più con gli interessi strategici del Pakistan. E proprio qui sta il punto.

Da quando gli Stati uniti hanno iniziato a raffreddare le tensioni con Teheran, sino ad arrivare a un accordo sul nucleare qualche settimana fa, i pachistani hanno cominciato lentamente a non seguire più i dettati dei Saud. Se prima tolleravano i gruppi anti sciiti, adesso hanno iniziato a temerli come parte di una galassia jihadista incontrollabile e come attori di un processo di contenimento dell'Iran che al Pakistan interessa meno di prima. Per Islamabad è importante infatti avere buone relazioni con Teheran: è uno Stato confinante con una certa influenza in Afghanistan (sia sul governo sia su parte della guerriglia) e può essere un attore indispensabile di sviluppo (si veda il famoso progetto di un gasdotto dall'Iran all'India e alla Cina che passa per il Pakistan).

Che le tensioni coi sauditi siano aumentate lo si è visto quando Islamabad, pur confermando la fedeltà all'alleato, ha rifiutato di mandare uomini e armi in appoggio alla guerra che i sauditi hanno ingaggiato nello Yemen con gli Houthi (sciiti). Riad l'ha presa a male e ha minacciato ritorsioni. Il fatto è che Islamabad sa che il progetto del califfato non è estraneo ai convulsi disegni geo strategici dei Saud e questo è stato probabilmente un altro motivo di frizione quando Daesh ha pensato bene di allargare i suoi immaginari confini al Khorasan, una regione che nella geografia califfale significa AfPak. Se dunque Islamabad adesso stringe il collare sino a strozzare i gruppi che fino a ieri facevano una politica favorevole ai disegni di Riad, non c'è da stupirsi. Gli effetti dell'accordo di Vienna con Teheran stanno rivoluzionando anche questa fetta del pianeta.

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