
E' questo il quadro che emerge da un documento confidenziale discusso a Bruxelles il 3 marzo scorso e reso pubblico da Statewatch, organizzazione di monitoraggio delle libertà civili in Europa. Il Paese della guerra infinita, che conta 2,5 milioni di rifugiati in Iran e 2,9 in Pakistan e che in casa deve gestire un milione di senza casa, ora presenta il conto anche a noi.
Il documento delinea quello che la Ue avrebbe in mente per fermare chi bussa alle sue frontiere. E gli afgani sono una fetta rilevante: secondi solo ai siriani ma più numerosi degli iracheni. Il documento, che paventa «l'alto rischio di una nuova ondata migratoria» tenta di chiarire attraverso quale strada sia possibile impedire che il flusso di afgani in Medio oriente continui la sua marcia oltre la Turchia (dove già se ne trovano 100 mila, 80mila dei quali “documentati”) per poi raggiungere la Grecia e da lì l'Europa: attraverso la via balcanica di terra o, come avvenuto per anni, sulle navi che attraccano in Italia. Ma come fermare il flusso degli afgani da un Paese che 15 anni di guerra ai talebani non sono riusciti a pacificare? Soldi. Tanti soldi. E accordi col governo afgano, in parte già negoziati in ordine sparso da alcuni stati membri anche con la mediazione dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (con cui ora però, dopo l'accordo con Ankara, i ferri si son fatti corti).


Dal punto di vista finanziario la Ue ha già messo sul piatto 1,4 miliardi di euro per il periodo 2014-
2020 – l'impegno più alto in assoluto di un singolo donatore in Afghanistan - ma conta di aggiungere subito altri 300 milioni e di accelerare le erogazioni del piano quinquennale. L'enfasi però, che inizialmente era su quattro settori chiave (agricoltura, salute, giustizia, governance), tende a spostarsi anche sul “restare a casa” o a favorire il quadro per ritornarci il prima possibile. Con pacchetti incentivo ad hoc sia per i rientri volontari, sia per quelli forzati ma stando attenti a «che ciò non attragga invece nuovi migranti». Un accento che si dovrebbe riflettere sulla Conferenza di Bruxelles sull'Afghanistan che la Ue sta preparando per il prossimo ottobre e dove bisognerà convincere gli Stati membri a non mollare l'impegno. C'è fretta dunque e le cose andranno ben preparate entro l'inizio dell'estate. Puntando soprattutto più sull'aspetto degli incentivi «in positivo» – uniti al controllo dei migranti, alla sensibilizzazione sui rischi della corsa all'oro in Europa, all'istituzione di centri di documentazione e monitoraggio – che non sulla leva brutale del rimpatrio forzato. Che pure, avverte il documento, rischia di vedere 80mila afgani fare a breve ritorno a casa contro la loro volontà. La strada di un concordato tra Stati resta infatti in salita. E in salita è anche la strada che porta a Kabul.
Il documento avverte che se il presidente Ashraf Ghani è sensibile al tema, molti altri componenti del suo governo fanno orecchie da mercante, evidenziando la dicotomia di un esecutivo a due teste (Ghani presidente e Abdullah a capo dell'esecutivo) che in questi mesi ha elargito all'opinione pubblica continue battaglie interne, dalla scelta dei governatori all'atteggiamento verso il processo di pace (vedi articolo a fianco). In questi giorni una mano arriva anche dal Giappone che ha reso noto di aver aumentato la quota di aiuto al Paese per 80 milioni di dollari. Con la differenza che nessuno bussa (o riesce a bussare) ai cancelli del Sol Levante.
L'appuntamento dunque è per ora fissato a Bruxelles per il 4 e 5 ottobre, appuntamento che dovrebbe seguire un'interministeriale sempre in Belgio in estate. L'idea è arrivare alla Conferenza (seguito ideale a Bonn 2011, Tokyo 2012 e Londra 2014) in un clima di reciproca fiducia tra gli Stati membri della Ue e un'Afghanistan nel ruolo del partner affidabile. Preparando il terreno per tempo per fare in modo che gli effetti della guerra infinita non arrivino sempre più numerosi fino alle nostre frontiere.
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