
I fatti di Pasqua sono atroci anche se perfettamente in linea con la logica stragista e terroristica che insanguina il Paese ormai da oltre quindici anni: un gruppo islamista di recente formazione e dai contorni confusi, mette a segno nel giorno di Pasqua un attentato suicida che si consuma in un parco pubblico di Lahore. Il primo bilancio dava già almeno settanta morti (ieri saliti a 72) con centinaia di feriti di diversa età, estrazione sociale e confessione religiosa anche se il comunicato di rivendicazione di Jamaatul Ahrar puntava l'indice sui cristiani, colpiti nel mucchio di un luogo di ricreazione che di per sé una fede non ce l'ha. L'attentatore suicida che entra senza difficoltà nel parco, innescando l'inevitabile polemica sull'assenza di forze di sicurezza, appartiene a una formazione dai contorni incerti che oltre un anno fa si è scissa dal Tehreek Taleban Pakistan (Ttp), l'ombrello jihadista per eccellenza che si rifà al verbo di mullah Omar e alla scuola islamista Deobandi ma che ha declinato il suo jihad in modo brutale e scegliendo di colpire soprattutto il governo di Islamabad, apostata e asservito agli Stati Uniti. JA è governata tra l'altro da quell'Ehsanullah Ehsan che del Ttp è stato a lungo portavoce. Le cronache dicono che la scissione ha poi portato il gruppo a sostenere Daesh ma che in seguito JA avrebbe fatto marcia indietro, rientrando nelle file del Ttp. Vero o non vero, è JA a firmare l'attentato di Pasqua e questo è il primo dato: un dato che dice che il Ttp è ancora in crisi e una nuova guerra per bande – forse anche per controllare la cupola del vecchio network jihadista – è in corso.

Il terzo elemento racconta una deriva anti cristiana che non è nelle corde classiche del Ttp, più orientato semmai a combattere gli sciiti, i sufi, le minoranze islamiche devianti. Un quarto elemento che li contiene tutti, appare dunque essere quello di una guerriglia jihadista sempre più atomizzata, che sembra sparare nel mucchio senza far troppe differenze, forse per guadagnare la testa di un movimento in difficoltà: sia per l'arrivo di Daesh sia per i dissidi interni, spesso legati all'origine clanica – dunque “famigliare” - della guerriglia pashtun delle aree di confine, ma anche perché governo ed esercito stanno facendo sul serio con quell'operazione Zarb e Azb iniziata quasi due anni fa nelle aree tribali e che ha scompaginato e in parte distrutto i santuari rifugio della guerriglia, nazionale e straniera.
E' comunque difficile capire quale rapporto Jamaatul Ahrar abbia con Daesh – presente in Pakistan ma più come minaccia che come realtà – quale sia la sua relazione col Ttp, quale la sua agenda politica, aperta e nascosta. E, soprattutto, chi arma e finanzia un gruppo la cui scia di terrore ha già colpito la minoranza cristiana altre volte. E' pur vero che il gruppo era salito alla ribalta con un'attentato al confine indo-pachistano – il che l'aveva posizionato tra i combattenti anti indiani – ma poi le sue azioni si sono diversificate. Agisce – Lahore ne è la prova – anche fuori dalle aree tribali. E non guarda in faccia le sue vittime. Non è purtroppo una sua prerogativa. Se ci colpiscono settanta persone uccise in un parco, la memoria corre al gennaio scorso quando a Charsadda, un manipolo di combattenti, anche quelli non riconducibili al Ttp (che anzi condannò), attacca un'università e uccide oltre una ventina tra studenti e insegnanti. E solo un anno prima, a Peshawar, nel dicembre 2014, il Ttp uccideva oltre 140 studenti di una scuola militare.
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