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giovedì 29 marzo 2018

Potere e morte a Islamabad

Figlia del destino
Benazir Bhutto, figlia
di Zulfikar: assassinata

Bhutto: la tragica epopea di una dinastia asiatica

Il potere e la morte. Sembrano questi i due segni distintivi di una famiglia asiatica che ha attraversato i momenti più cruciali della storia recente del subcontinente indiano. La famiglia Bhutto, originaria dell’attuale Rajastan (india), ha infatti dato al Pakistan premier, presidenti e diversi protagonisti della vita politica e pubblica del Paese dei puri. E’ la storia di una dinastia ma anche di un susseguirsi di tragedie e omicidi politici, successo e consenso ma anche anni di prigione, arresti domiciliari, esilio. I Bhutto oggi fanno ancora parlare di sé e benché le vicende politiche contemporanee li vedano un po’ in disparte, potranno forse giocare un nuovo ruolo nella politica del Paese. Eredi di una dinastia che, come l’Araba fenice, sembra continuamente risorgere dalle sue ceneri.


Patriarca: Shah Nawaz.
Muore nel suo letto
Cominceremo dunque dalle origini di questa famiglia di rajputi che, con Sheto Khan Bhutto, migra nel 1700 dal Rajputana al Sindh, dove elegge a residenza questa odierna provincia del Pakistan. I Bhutto dall'induismo si sono convertiti nel 1600 all’islam durante l’epoca dell’imperatore mogul Aurangzeb per il quale sono diventati collettori di imposte. E’ un mestiere che rende e procede bene fino alla divisone del Raj quando i Bhutto, che sono intanto diventati anche funzionari del nawab di Junagadh, devono abbandonare la loro posizione nel momento in cui il principato passa all’India. Si ritirano definitivamente nel Sindh dove già hanno accumulato una vasto impero fondiario: nel 1957, alla morte di Shah Nawaz, padre di Zulfikar Ali, posseggono 100mila ettari di terra nei distretti di Larkana, Sukkur e Jacobabad. Zulfikar Ali, terzo figlio di Nawaz, fonda dieci anni dopo la morte del padre il Partito del popolo pachistano (Ppp), organizzazione di ispirazione socialista, nazionalista e secolare.

Zulfikar Ali, figlio
di Shah Nawaz: impiccato
Nel 1971 il padre di Benazir ricopre la carica di presidente del Pakistan. Capo dello Stato dal ‘71 al ‘73 e poi premier dal ‘73 al ‘77, è una speranza. E’ un civile e non un militare. E’ un socialista, visto con timore e sospetto a Washington ma anche indigesto a Mosca perché il Pakistan guarda con simpatia alla Cina. Oratore appassionato e instancabile, ama i bagni di folla e sa entusiasmare la platea. La sua carriera politica viene però fermata da un generale: Zia Ul-Haq, cui non piace il socialismo di Bhutto e che vuole un ritorno all’islam che per Zia deve essere il collante del Paese. Bhutto in realtà, popolare tra i poveri, piace poco anche a molti del suo partito che gli remano contro e che, dopo le elezioni legislative che lo premiano, decretano illegittima la sua vittoria. La situazione di caos giustifica agli occhi dell’esercito il ritorno al potere delle divise e nel luglio del 1977 Bhutto viene arrestato. Ma Zia lo vuole morto. Il generale, che ribalterà la politica di nazionalizzazioni di Bhutto privatizzando le aziende nazionalizzate, nel 1979 lo fa condannare a morte per omicidio.

Benazir racconterà nella sua autobiografia intitolata “Figlia del destino” le ultime ore di suo padre prima dell’impiccagione. Anche lei è in prigione, ai domiciliari. Ha solo 26 anni ma già si sente figlia del destino. Un destino che deve aspettare fino al dicembre del 1988 quando viene eletta e scelta a guidare il governo. La sua forza sta anche nell’ondata emotiva che ha travolto il Paese con la morte del padre e quando, nell’agosto del 1988 l’aereo che trasporta il dittatore Zia precipita, arriva l’occasione. Il Ppp riprende vigore e la casta militare fa un passo indietro. Quel cognome è una carta che si può spendere dal Punjab al Belucistan, da Lahore a Peshawar. Benazir, che intanto si è sposata con Asif Zardari, può guidare il Paese e tornare da Londra, dove vive con la famiglia. Londra, perché il Pakistan è un posto pericoloso per i Bhutto: nel 1985 suo fratello Shah Nawaz è stato avvelenato, forse proprio su ordine di Zia. Il governo Bhutto però non dura due anni. Nell’agosto del 1990 il governo cade e Benazir affronta per la prima volta il peso di accuse a lei e al marito che il popolino chiama mister 10%. Asif Zardari non è amato. Lei piace, lui no. Nel 1993 Benazir ci riprova e vince di nuovo. Coopta il marito nel governo come ministro e gli affida i servizi segreti. Non tutti digeriscono.
Murtaza, figlio di Zulfikar
Vittima  di uno scontro a fuoco 

Tra chi non digerisce c’è anche il fratello di Benazir, Murtaza: coraggioso, spericolato, vendicativo. La prima vendetta la vorrebbe fare per vendicare la morte di suo padre e durante la dittatura di Zia si è macchiato di due delitti. Scappato in Afganistan, viene condannato a morte in contumacia. Quando torna in Pakistan nel 1993 con sua sorella al governo, lei lo fa arrestare. E quando Murtaza esce comincia una campagna politica che vuole un ritorno alle origini del Ppp e Zardari fuori dai piedi. Son scintille con Benazir di cui Murtaza diventa uno dei più fieri critici. Nel 1996, in un controverso incidente con la polizia, viene ucciso. Va male anche a Benazir che viene sfiduciata dal presidente mentre si diffonde l’idea che con l’omicidio di Murtaza c’entri Zardari.

Eppure Benazir resta l’icona di un Pakistan guidato da un governo civile, di un Paese islamico dove al potere è andata una donna. Il mito resiste, dagli slum di Karachi, alle periferie di Peshawar, dal Sindh rurale ai circoli diplomatici. La sua fortuna è la dittatura di Pervez Musharraf. Il dittatore, che la comunità internazionale ha messo all’angolo, negozia con lei il suo rientro dall'ennesimo esilio. Firma un’amnistia che proscioglie lei e il marito. Nell’ottobre 2007, dopo otto anni di esilio, torna e incarna ancora una promessa di riscatto. Ma è un trionfo che non dura. In dicembre viene uccisa. Vent’anni dopo quel dicembre del 1988, questa volta ad aspettarla non c’è lo scranno da primo ministro ma la morte che se la prende dopo l'ultimo bagno di folla. La sua eredità politica è adesso nelle mani di suo figlio Bilawal che il padre chiama alla guida del Ppp. C’è chi mormora: “Non è un Bhutto, è un Zardari”. E c’è chi gli preferirebbe Fatima, figlia di Murtaza. Ma lei si schermisce, almeno per ora. Vuole stare lontana dai giochi politici della sua tragica dinastia.

Questo articolo è stato scritto per l'inserto Asia de il manifesto
Una storia radiofonica dei Bhutto  preparata per  Wikiradio


Fonte: Wikipedia

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