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domenica 13 gennaio 2019

Lieto fine per Rahaf. Schiaffo thai per Riad

 Una brutta storia con una giovane donna al centro. L’intervento dell’Onu e l’ospitalità di un Paese cui lei chiede rifugio. Uno scontro tra monarchie. La potenza di 146mila follower su Twitter e – perché no – un diamante blu. Si potrebbe sintetizzare così il dramma – con momentaneo lieto fine – di Rahaf Mohammed Mutlaq Al Qunun, una giovane saudita in fuga dalla sua famiglia. Bloccata dai doganieri tailandesi al suo arrivo a Bangkok, si è barricata in aeroporto in una camera d’albergo per passeggeri in transito fino a che la Casa reale thai non ha dato il benestare perché ne uscisse per poter salire su un volo che l’ha portata in Canada dove ora gode dello status di rifugiata. E’ una vicenda che è durata una settimana e che ha occupato i media tailandesi per tutto l’arco di una vicenda che, da una parte, disegna i rapporti non sempre facili fra gli Stati, dall’altra dimostra la forza dei vituperati social che questa volta han lavorato a fin di bene.


Rahaf in uno scatto pubblicato
sul suo account twitter
Tutto comincia il 5 gennaio quando Rahaf atterra a Bangkok su un volo proveniente dal Kuwait. E’ in transito per l’Australia, per cui ha in visto regolare, ma quando arriva al controllo passaporti le autorità tailandesi glielo sequestrano perché non sarebbe a posto con le norme che regolano l’immigrazione. Una balla. Il fatto è – ma questo salta fuori dopo – che si è mossa l’ambasciata saudita di Bangkok dove il padre di Rahaf sta per approdare invocando la legge saudita che prevede che una donna, anche se ora può guidare un’auto, non può far quello che vuole senza il permesso del padre o del fratello. C’è di più: i rapporti tra i due Paesi sono tesi sin dagli anni Novanta quando un cameriere thai sfilò al principe saud Faisal bin Fahd un bel po’ di gioielli tra cui il famigerato “Diamante blu”, mai riapparso nemmeno quando la polizia di Bangkok restituì il maltolto. Da allora questa storia si è tinta di giallo con numerosi casi di omicidio irrisolti ai danni di sauditi che investigavano sulla sparizione. Tensione persistente che ha visto ridursi drasticamente il flusso di lavoratori thai in Arabia saudita e persino richiamare entrambi gli ambasciatori.


L'account twitter di Rahaf. Sotto una pagina fb
dedicata alla sua vicenda 
Il caso di Rhaf è dunque nelle mani di Abdalelah Mohammed Alsheaiby, incaricato d’affari dell’ambasciata, che subito si muove. Forse per non irritare Riad, la polizia di frontiera sta al gioco ma non ha fatto i conti con Rahaf. Quando bussa alla porta della sua stanza, la ragazza si barrica in camera e comincia a spedire foto, video e messaggi con motivazioni e particolari della sua situazione. Soprattutto via Twitter. Dice che se finisce nelle mani del babbo saran dolori. Che rischia non solo il rimpatrio ma pene severissime – forse persino la morte – perché ha abiurato e in Arabia saudita questo è un reato gravissimo. Infine è scappata di casa trasgredendo le regole ferree dell’ultramaschile regno saudita. Essersi tagliata i capelli le è già costato un sequestro in casa di sei mesi… Gli utenti di Twitter e Fbb fanno la loro parte: rilanciano, commentano, condividono, si iscrivono al suo canale. E il tam tam si fa assordante. Troppo per il Paese del sorriso dove le donne sono esseri liberi e nessuno si sogna di lanciare occhiatine a chi appartiene alla comunità Lgbtq. Il regno delle orchidee ospita tre milioni e mezzo di turisti l’anno che partono col costume da bagno in valigia. Vai a vedere che sti cavolo di sauditi ci rovinano il sorriso?

La Thailandia fa marcia indietro mentre intervengono associazioni di peso come Human Rights Watch. Interviene l’Unhcr: qui c’è una donna da proteggere. La ragazza deve andar libera dove vuole. Ma dove? Il Canada accetta l’invito e Bangkok, anche se il regno non ha mai firmato la Convenzione sui rifugiati, allarga il sorriso. Tutto si risolve nel giro di poche concitate ore. Con lo smacco della real casa Saud, la soddisfazione della real casa thai e, soprattutto, della povera Rahaf. Un aereo della Korean Air la aspetta in tarda serata venerdi per portarla finalmente ieri tra i freddi ma ospitali e magnanimi lombi di un’altra monarchia, benché parlamentare, che omaggia e rispetta Elisabetta II del Regno Unito. Quello stesso regno che fece grande i Saud e ottenne una seppur indiretta influenza sulla Thailandia pur senza averla mai resa una sua colonia.

Questo articolo è stato scritto per il manifesto

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