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mercoledì 17 aprile 2019

Si vota in Indonesia. All'ombra dei militari

Con oltre 190 milioni di elettori che devono scegliere sia il nuovo presidente sia i 711 deputati del parlamento, le elezioni di oggi in Indonesia sono, assieme a quelle indiane, una delle più complesse tornate elettorali del pianeta. Gli occhi sono puntati soprattutto sulla scelta del nuovo presidente il cui mandato – in una repubblica dove il capo dello Stato è il dominus dell’esecutivo – dura cinque anni, fino al 2024. La sfida, come già nel 2014, è tra l’attuale presidente Joko Widodo, detto Jokowi, e il suo rivale ormai tradizionale: l’ex generale Prabowo Subianto, ex comandate della riserva strategica ed ex marito di Titiek, secondogenita di Shuarto (divorziarono lo stesso anno della caduta del dittatore nel 1988); gode dell’appoggio della Muhammadiyah, una delle più potenti organizzazioni islamiche del Paese. In ticket con lui Sandiaga Uno, imprenditore e già vice governatore della capitale.

Ma chi pensa che, come fu nel 2014, la sfida tra Jokowi e Prabowo sia tra vecchio e nuovo - laici contro islamisti, civili contro militar, progressisti contro conservatori – ora deve (almeno in parte) ricredersi. Jokowi si presenta infatti con un vice che è un anziano teologo della Nahdlatul Ulama, l’altra grande organizzazione religiosa del Paese: e Ma’ruf Amin, che ne era a capo presiede anche il Consiglio degli ulema. Quanto ai militari, i suoi critici dicono che il presidente non ha aiutato l’Indonesia a uscire da un rapporto troppo stretto con gli uomini in divisa. E anche se la NU è stata in molti casi un’organizzazione progressista (espresse il primo presidente eletto del dopo Suharto, Gusdur) e i rapporti coi generali sono, nel caso di Jokowi, meno stretti che nel caso di Prabowo, molti indonesiani sponsor del presidente uscente storcono il naso. Non molti per la verità: nel parlamento uscente Jokowi conta su una larga coalizione di partiti che, salvo uno, lo appoggeranno come già nel 2014, e nella società alcuni sondaggi hanno visto considerare le forze armate (Tni) l’organizzazione che maggiormente si guadagna la fiducia del popolino. Un abbraccio antico quanto la Repubblica nata alla meta del secolo scorso dopo la fine della colonia olandese e che ha sempre dovuto convivere con la stretta, a volte soffocante, della casta militare e di quella degli ulema.

E’ il calcolo che Jokowi deve aver fatto scegliendo Ma’ruf. Ed e il calcolo che deve anche aver fatto quando ha deciso che i militari possono avere incarichi pubblici prima di andare in pensione. Durante la dittatura di Suharto la cosa era normale. Ma in seguito, con l’avvento della democrazia, l’Indonesia aveva abolito la cosiddetta dwifungsi dell’esercito: una doppia funzione che gli consentiva di essere un potere civile oltreché militare. Dopo la dittatura terminata con la dismissione di Suharto (messo fuori gioco dai suoi generali come in Algeria o in Sudan) all’esercito furono anche levati i seggi di diritto in parlamento (com’è invece ancora oggi in Myanmar) e a soldati e poliziotti fu impedito di avere incarichi civili e persino di andare a votare durante il servizio. Ma la cosa ha creato problemi e prodotto un surplus nelle forze armate che ha spinto Jokowi a rivedere lo schema: nel 2017, oltre 140 generali e 790 colonnelli non avevano un posto il che fece decidere all’esecutivo di creare nuove unità e di consentire ad alcuni di loro di poter avere un posto nell'amministrazione civile senza dover andare in pensione come non avveniva più dalla riforma del 2004.

Ma Jokowi e’ andato oltre: già nel 2016 il presidente aveva nominato l'ex capo dell'esercito Wiranto ministro per gli affari politici, legali e di sicurezza (incarico che già aveva con Giusdur) anche se l’ex generale è stato accusato dalle Nazioni Unite di crimini contro l'umanità durante la repressione a Timor Est. Infine non ha storto il naso quando Try Sutrisno, già vice presidente con Suharto, ha dichiarato di appoggiarlo. Ma Jokowi il riformatore è anche l’uomo che ha continuato l’opera di rimozione della memoria delle stragi che diedero il via dal 1965 alla dittatura di Suharto ed è anche un presidente che si è distinto per l’applicazione della pena capitale. Non di meno resta un riformatore nel sociale con un welfare innovativo, l’aumento dell’accesso a scuole e servizi e la lotta alla corruzione. Ma neppure lui sembra sfuggire all’abbraccio in mimetica dei generali. Ex o in servizio.

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