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venerdì 28 giugno 2019

L'Afghanistan, la moda e le donne. A Milano con qualche piacevole sorpresa

Sono sempre un po’ scettico sulle cose organizzate dagli americani sull’Afghanistan. Son dunque andato un po’ prevenuto a Milano per un “evento” organizzato da Usaid, l’agenzia di cooperazione americana, per presentare una sorta di “polo del lusso afgano”: moda, gioielli, tappeti etc. In effetti l’evento, che tutto sommato poteva avere un suo perché, mi ha dato l’idea di una delle tante operazioni di propaganda che gli americani son tenuti a fare per giustificare (e noi con loro) la nostra presenza nell’Hindukush. Più per favorire l’immagine del buon alleato che non per sostenere gli scambi commerciali degli espositori che – tra un chiacchiericcio e l’altro – ho sentito lamentarsi proprio di questo. Le fiere si fanno per vendere oggetti, insomma, non parole.

Al centro un modello di Zolaykha
Sotto, su manichino
Ciò detto l”Afghanistan Luxury Show” (che suona anche un po’ fuori luogo per un Paese che sta per festeggiare 40 anni di guerra ininterrotta e un livello di povertà notevole) è stata però un’occasione piacevole almeno per chi, come me, non compra e non vende ma guarda soltanto. Con alcune piacevoli sorprese. Conoscevo già Azezana e le sue sciarpe incredibilmente raffinate. Ho anche visitato il suo laboratorio a Kabul e ho visto come lavora un’equipe di donne con antica e raffinatissima tecnologia al telaio. Di Zarif Design invece avevo solo sentito parlare. L’atelier è a Kabul a Sherpur ma non l’ho mai visitato. Una sorpresa dunque veder sfilare queste lievi e bellissime modelle afgane (o afgano-americane) coi suoi capi che hanno un valore aggiunto che va spiegato.

Zolaykha Sherzad ha preso il chapan, un tipico mantello maschile, e l’ha trasformato in un capo femminile. Non è uno scherzo fare una cosa del genere in una società tradizionale, pur se i capi di Zolaykha son destinati a un pubblico d’élite. Significa trasporre nella moda il coraggio del cambiamento. Introdurre una confusione di genere che travalica il genere e mescola maschile e femminile. Bello, oltreché interessante e coraggioso.

La giornata è stata l’occasione di altri piacevoli incontri: la mia amica Soraya d’Afghanistan, nipote di re Amanullah e, come lui, amata dalle gente semplice perché la principessa si dà da fare per promuovere il lavoro delle donne afgane. Senza retorica e con piccoli gesti quotidiani, come raccontare quello che fanno nei tanti incontri dove viene invitata. Poi ho rivisto Basir, un afganone alto alto che gestisce Samarkand, ristorante orientale alla Bovisa in cui mi riprometto di andare al più presto. La sua cucina mescola Marco Polo e la Via della seta, piatti afgani con la tradizione dell’Asia centrale. Infine ho avuto modo di stringere la mano a due persone che ho solo letto o ascoltato alla radio: Atai Walimohammad (“Ho rifiutato il paradiso per non uccidere” storia della sua vita pubblicata con Multimage) che sta mandando alle stampe un romanzo nientemeno che con Feltrinelli. E Lorenzo Cremonesi, inviatone del Corsera, uno che ha fatto la storia del giornalismo italiano con un coraggio da leone. L’ho incrociato spesso ma non ci eravamo mai presentati. Ora il suo giornale gli preferisce la storia del bikini di qualche modella o gli amorazzi dei calciatori, ma chi ha letto i suoi articoli o lo ha ascoltato a Radio Popolare sa che i bikini passano, i grandi racconti no. Son tornato a casa soddisfatto. Grazie Usaid.

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