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mercoledì 24 agosto 2011

PICCOLE CITTA' CRESCONO (MALE)


Dice un vecchio adagio che non bisognerebbe mai tornare nei luoghi che si è molto amati. Ma pochi posti al mondo tradiscono la memoria come Kathmandu. La malattia di Kathmandu, un villaggione contornato di pagode e templi attraversato dallo zafferano e bordeaux dei monaci tibetani e dai colori tersi di un cielo intenso disteso su prati di un verde al confine tra il pastello e la speranza, si chiama inurbamento. Che, qui come raramente altrove, rima con degrado. Dove sono le casette coi muri a calce ocra e le finestrelle azzurre? Spazzate via da un mostro urbano. E anche se nei tempi andati il Nepal era un Paese così povero che si moriva spesso già nella pancia della propria madre ancor prima di vedere le vette innevate dell’Annapurna, quella piccola città montana, avvolta nelle nebbie del primo mattino quando vi appariva alla discesa dal passo che conduce nella valle, era davvero uno spettacolo ineguagliabile: edifici eleganti in muratura sormontati da tetti a pagoda e intarsi lignei praticamente su ogni porta o finestra.

I templi della piazza di Durbar e le lunghe scampagnate fuori porta – rigidamente in bicicletta – per raggiungere Patan o Baghdaon, due piccole Kathmandu in miniatura a un pugno di chilometri dalla capitale. Non era un sogno. Era Kathmandu. Il paesaggio della valle odierna, dipinto da una città cresciuta a dismisura, è oggi un bizzarro puzzle di ciminiere che circondano un’area urbana, un tempo dimora di qualche migliaio di persone, divenuta una metropoli senza soluzione di continuità. Le piccole fabbriche sfornano mattoni per un’edilizia in costante aumento e anche la capitale nepalese si è candidata a diventare quella che, in gergo tecnico, si chiama “Mur”: Mega-urban region. Agglomerati urbani che comprendono più centri collegati tra loro in maniera indissolubile, tanto che oggi Patan e Baghdaon sono solo due piazze della grande Kathmandu.

Il dato numerico aiuta a capire: se Londra ci ha messo 130 anni per arrivare da uno agli attuali 8 milioni di abitanti e Bangkok, per ingigantirsi, ne ha messi 45, a Kathmandu son bastati meno di vent’anni, tanto è durata l’insurrezione maoista che molto ha contribuito alla crescita esponenziale della città. La Kathmandu metropolitana che conta oggi 35 distretti (di cui uno solo è il centro propriamente detto), negli anni Settanta non arrivava a 200mila abitanti. Adesso ne ha quasi 700mila ma oltre 1,2 milioni se si considera l’intera area urbana. In termini assoluti non è molto (su 30 che abitano il Nepal) ma ciò che è impressionate è la percentuale di crescita: 5%! Nei territori palestinesi, che conoscono un’urbanizzazione selvaggia, questa percentuale è del 3,5%. Come in Somalia, dove c’è un conflitto che dura da oltre vent’anni, o in Sierra Leone, un altro luogo dove la guerra ha spinto la gente nella città. Ma a Kathmandu è successo qualcosa di ancor più pazzesco che in Palestina o in Somalia. Anche perché di città ce n’era – e ce n’è – praticamente solo una: la capitale. Il gioiello di famiglia. Oggi ormai solo il riflesso di una luce sempre più tenue.

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