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lunedì 29 agosto 2011

OPPIO, TERRA E GUERRA IN AFGHANISTAN


Nel giugno dell'anno scorso Viktor Ivanov, a capo del Servizio narcotici della Federazione russa, spiegò in un forum internazionale sul narcotraffico che Mosca intendeva sostenere la creazione di un archivio della proprietà terriera in Afghanistan. In altre parole la costruzione di un catasto. Che non esiste o esiste solo in forma ridotta.

Ivanov diceva dunque quel sarebbe stato opportuno spiegare diversi anni fa: come si può mettere mano al problema della produzione di oppio se non si conosce chi possiede e protegge i campi coltivati a papavero? Apparentemente una banalità ma così a lungo ignorata che il catasto afgano è ancora quello – monco – cui mise mano con un riforma, una quarantina d'anni fa, re Zaher Shah. L'ultimo monarca afgano.

In Afghanistan infatti, oltre ai “ignori della guerra” ci sono anche dei “signori della terra”, proprietari terrieri che spesso sono anche “signori della guerra”. Oppure ci sono dei signori della guerra a vario titolo (commander più o meno importanti) che, col tempo, sono diventati signori anche della terra.
Il rapporto tra terra e guerra, proprietà fondiaria e conflitto, potere (militare) sul territorio e relazioni sociali, costituiscono alcuni degli aspetti meno indagati della storia recente del Paese: lacuna che finisce per far ignorare, e/o considerare come secondario, il problema del possesso della terra, delle relazioni economiche tra possidenti, affittuari o contadini poveri e la catena di relazioni sociali connesse (non ultimo il ruolo delle donne nei matrimoni combinati e il loro valore come merce di scambio nel mondo rurale). Elementi che in un Paese eminentemente agricolo contano in maniera preponderante: la proprietà della terra e il suo controllo, sembrano invece fattori tanto importanti quanto sotto stimati e studiati, salvo rarissime eccezioni. Eppure proprio il “nuovo ordine” economico e sociale, importato in Afghanistan con la cacciata dei talebani nel 2001, ha innestato o favorito liberalizzazioni e alienazioni di beni pubblici, utilizzo del suolo (un aspetto strettamente connesso alla produzione di oppio e al narcotraffico), speculazione edilizia e occupazione di terreni demaniali in assenza quasi totale di regole e di archivi di riferimento e in un quadro di scarsa attenzione al problema della legislazione in materia di diritti di proprietà. Temi che hanno ottenuto scarsa considerazione nel processo di state-building (o rebuilding) da parte della comunità internazionale e dello stesso governo afgano.

Quanto all'oppio in sé, il problema della sua produzione ci sembra solo in parte risolvibile con strategie di eradicazione, sostituzione o monopolio di Stato delle coltivazioni, che sono i temi su cui si incentra il dibattito: affrontato in sostanza come un problema di contadini poveri che, per sfamarsi, preferiscono l'oppio alle patate. In gran parte ci sembra invece che si tratti di un nodo che ha a che vedere più con il possesso della terra che co di ruolo di agricoltori bisognosi che, il più delle volte, sono solo mezzadri, braccianti e landless. E' ai loro “padroni” che bisognerebbe guardare. E dunque al catasto - se ci fosse - che certifica proprietà e gestione della terra...(segue su Lettera22*

*Dossier pubblicato sul quotidiano "Terra"

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