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giovedì 10 novembre 2011

IL SOGNO DI ANKARA: HELSINKI VIA ISTANBUL

Ankara ha un sogno condiviso anche da Kabul. Potrebbe chiamarsi Csca o Osca, se si prendesse per buono il modello europeo della Conferenza per la sicurezza e cooperazione in Europa (Csce) degli anni Settanta del secolo scorso che, agli inizi degli anni Novanta diventò poi, col summit di Parigi del novembre 1990, l'Organizzazione per la sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) che oggi conosciamo. Se a Europa si sostituisce Asia, l'acronimo cambia. E se a “Processo di Helsinki” si sostituisce “Processo di Istanbul” ecco che il sogno turco afgano (ma soprattutto turco) potrebbe cominciare ad avere gambe per camminare.

Benché l'accordo di Istanbul del 2 novembre scorso, firmato da 14 ma sostenuto da tutti i 29 soggetti - tra Paesi e organizzazioni internazionali – presenti, non abbia sollevato una grande attenzione, qualcosa è successo sulle rive del Bosforo, dove un antico palazzo di epoca ottomana ha visto muovere i primi passi il tentativo di creare un po' più che una cornice di sicurezza e cooperazione per dragare il pantano afgano. Strada in salita, è chiaro. E, per ora, poco più che una dichiarazione di intenti. Che forse però val la pena di prendere in considerazione.
Quattordici Paesi hanno deciso di cooperare per la rinascita di un Afghanistan «stabile e sicuro» nell'ambito di un'iniziativa battezzata «Processo di Istanbul».

E' questo in due parole il succo del risultato della Conferenza internazionale per l'Afghanistan co-organizzata da Turchia e Afghanistan e che, già dal titolo, prometteva forse anche di più di ciò che poteva davvero realizzare. Alla “Conferenza di Istanbul sull'Afghanistan: sicurezza e cooperazione nel cuore dell'Asia” hanno partecipato i 14 Paesi che gravitano attorno al drammatico universo dell'Hindukush. Con l'Afghanistan – e la Turchia paese ospitante – c'erano Pakistan, India, Cina, Kazakihstan, Russia, Iran, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kyrgyzstan, Arabia saudita, Emirati. Come osservatori c'erano un'altra dozzina di soggetti tra cui: Francia, Canada, Ue, Germania, Italia, Giappone, Svezia, Spagna, Norvegia, GB, Usa, Onu).

Se il sogno turco
, Paese che non nasconde l'orgoglio per l'abile bottino in termini di peso politico di questi ultimi anni, era quello assai complesso della nascita di una sorta di Osce asiatica patrocinata da Ankara, le difficoltà erano iniziate fin dal nome: gli afgani non volevano una conferenza sull'Afghanistan ma un summit regionale dove Kabul sarebbe stata, sì nel cuore dell'Asia, ma non il cuore del problema. Qualche screzio infine si era avvertito anche sulla compilazione della lista dei partecipanti (quanti sono i confinanti e fino a dove arrivano le frontiere dell'Afghanistan?), rimasta un mistero sino all'ultimo momento: col rischio che il summit non fosse altro che una passerella di poco conto, fallimento che Ankara e Kabul avrebbero entrambi mal digerito. Ma la difficoltà vera era ed è di altro genere....(segue su Lettera22 )

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