Raccontano che un businessman pachistano preferisca Kabul addirittura a Dubai: «C'è di tutto, è un centro vivace e divertente mentre un mucchio di altre capitali sono noiose». Può sembrar bizzarro che una città sulla linea del fronte, da trent'anni capitale di un conflitto senza fine con una molteplicità di attori da far invidia alla II Guerra mondiale, possa essere attraente. E invece... Benvenuti a Kabul dove se avete quattrini li potete moltiplicare e dove, come forse accade alla vigilia delle grandi tragedie, in vista della paranoia del dopo 2014, quando gli eserciti occidentali se ne andranno, non si sta tanto a guardare al futuro ma si vive spasmodicamente al presente.
Al rientro dal weekend del venerdi la coda è lunga per rientrare in città. La polizia ferma le macchine cariche di giovinastri (tutti maschi) ma non cerca armi. Controllano il tasso alcolico per evitare incidenti. Lo skyline della città che si staglia sullo sfondo cambia di settimana in settimana, a volte di giorno in giorno. Il nuovo ufficio del governatore, solo palafitte di cemento armato quattro mesi fa, è fatto e finito davanti a un grande megastore a più piani in costruzione. Guardi verso l'alto e vedi svettare gru, ponteggi, scale sopra parcheggi di betoniere e camion che trasportano tondini di ferro. Una bolla speculativa senza precedenti ha fatto di questa città un cantiere in continua espansione. E prima ancora che si sia messo mano alla “New Kabul” - progetto di una Brasilia afgana a Nord dell'attuale capitale, nell'area di Shomali, lungo la strada che porta nel Panjshir - sorgono palazzi e palazzine, si bitumano ampie strade, si parcellizzano appezzamenti. Poco importa se poi non ci saranno le fogne o se l'allaccio alla luce sarà volante come le matasse di cavi che si intrecciano ancora nella città vecchia. Nemmeno questa esente dall'avanzata del tondino, a spese di un'architettura tradizionale fragile tanto nella struttura (fango, paglia e travature in legno) quanto nella cultura di un'identità che si sta perdendo travolta dalla “modernità”. Giran soldi e c'è lavoro nei cantieri. Non è poco, poi si vedrà.
Nel quartiere di Sherpur, dove i signori della guerra hanno confiscato terra demaniale e costruito cinque o sei anni fa un quartiere residenziale per aitanti funzionari internazionali, le case adesso sono sfitte: “Residence with 27 rooms to rent”, dice un cartello sulla facciata di una di queste ville che coniugano in un kitsch stupefacente le architetture di Dubai e Peshawar, Islamabad e Washington, il tutto con una spruzzata di aria persiana imbellettata da specchietti colorati a mosaico. Ma gli occidentali stanno già facendo le valige e i prezzi crollano. A Sharenaw trovi una casa arredata per 1000 dollari anche se c'è ancora chi ne paga 800 per una stanza. Dunque, chi ospiteranno le migliaia di appartamenti in crescita esponenziale? Chi potrà permettersi, tra quei due milioni che vivono sulle pendici delle montagne intorno alla città, le due stanze più bagno e cucina, sogno borghese tipico di ogni boom edilizio? Sogno per chiunque abbia una casa costruita in una notte sfruttando il pendio e i sassi della montagna. Case dall'aria contadina colorate d'ocra o di azzurro, presepe fantastico ma senza servizi: allacci volanti, acqua trasportata a taniche, niente fogne né asfalto sui tratturi scivolosi allargati a strade per il boom automobilistico che vale un milione di vetture.
Il fatto è che in città girano soldi e tanti. E le palazzine sono il modo più agile di investire. Ci sono i soldi promessi dalla Conferenza di Tokio per almeno quattro anni (15 miliardi) e il Paese attrae investimenti stranieri. Nonostante la guerra.
Kelly, chiamiamola così, è una trentenne rampante di origine afgana naturalizzata Usa. Lavora per una grossa ditta di engineering e vive al Kabul Star, uno dei tanti 5 stelle nati come funghi e pieni di affaristi. Non ha un minuto libero. E domenica scorsa, nel suo viaggio a Doha, Qatar, Karzai ha snocciolato all'emiro del Paese che ha inventato Al Jazeera, e che sta diventano un gigante politico oltre che economico, le cifre di un'avventura che per i cinesi vale 4,5 miliardi di dollari solo nelle miniere di rame. Delhi, nello stesso settore, ci ha messo un altro miliardo. Gli americani sono ovunque: stanno trattando la gestione dello spazio aereo perché la Nato, che ora lo controlla, se ne andrà. Gli italiani hanno messo gli occhi sul nuovo aeroporto di Herat anche se si chiedono, una volta terminato, chi gestirà il traffico dalla torre di controllo. Quella messa in piedi dai soldati spagnoli e già stata smontata per tornare a Madrid.
La pace è ancora lontana e il governo è tutt'altro che stabile e privo di un reale sostegno popolare ma gli affari corrono. Le banche locali chiudono un occhio se è vero che una bella fetta del Pil viene da quelli illeciti e adesso, dopo due-tre anni di moneta fortissima (l'afganis si era apprezzato del 4% sul dollaro a fronte di una svalutazione delle monete dei Paesi vicini attorno al 40%), la divisa locale costa meno, il lavoro anche. Le regole poi, non è difficile bypassarle.
segue su Lettera22
Nessun commento:
Posta un commento