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domenica 31 agosto 2014

Come nasce l'Is e le nostre responsabilità

Maryam al Khawaja 
Mi è stata chiesta recentemente un'opinione sull'Is, lo Stato islamico, quel plotone di jihadisti sunniti che impazza in Iraq e Siria. La risposta, secondo me, la si trova in questo articolo di AlJazeera sull'arresto - al suo arrivo a casa (Bahrein) - di Maryam al Khawaja, condirettrice del Gulf Centre for Human Rights. Colpevole di aver insultato il monarca, Maryam non è soltanto un'attivista ma è anche sciita ed è la figlia di Abdulhadi Abdulla Hubail al-Khawaja,  dal 2011 in galera in Bahrein, ridente democrazia del Golfo a conduzione familiare  (come tutte le altre). Che c'entra, direte voi? Provate a seguire il mio ragionamento anche se, su questa materia, son solo un osservatore non certo un ferrato analista.

Ebbene nel 2011 in Bahrein scattò una rivolta. Era guidata dalla “minoranza” sciita in un Paese dove la casa regnante è sunnita, oltre l'80% della popolazione è di religione musulmana e gli sciiti sono circa due terzi, dunque una considerevole maggioranza. Sono anche i più poveri e si ribellarono sull'onda delle rivolta arabe. Li seguivano con attenzione anche quelle migliaia di immigrati che costituiscono la forza lavoro dei petroregni mediorientali. Ma, mentre gli occhi erano puntati su Tahrir, nel piccolo reame (1,2 milioni di abitanti) si scatenò una feroce repressione peggiore di quella egiziana. Di più, temendo che l'Iran approfittasse della svolta protestataria i sauditi, forti dell'appoggio del Consiglio del Golfo, inviarono i carri armati. La famiglia reale dei Khalifa era ovviamente d'accordo, perché soldati e polizia non erano in grado di contenere la rivolta. A parte qualche timido distinguo, lasciammo correre: nessuna condanna, nessuna sanzione. Un silenzio dorato come i petrodollari sauditi. Demmo il via libera. E cominciarono li anche le nostre responsabilità sulla non ancora imminente creazione dell'Is

Il generale presidente Abdel Fattah al-Sissi 
E si, perché la piccola vicenda del Bahrein rivela molto più di quanto non sembri e spiega perché i sauditi e gli emirati abbiano appoggiato prima i Fratelli musulmani (che poi Riad ha bollato di terrorismo) e adesso l'Is. Mai apertamente sia chiaro. In forma “privata”, come spiega bene una convincente ricostruzione dell'Independent. All'epoca delle rivolte arabe, il Golfo e Riad pensarono che l'unico modo di contenere le folle fosse puntare sui Fratelli musulmani. Ciò avrebbe contenuto le spinte rivoluzionarie e cambiato gli equilibri dando forza a chi da sempre ha sostenuto la Fratellanza. Ma a Riad poi non piacque più quel Morsi che, seppur in modo univoco e autoritario, diventava un modello di democrazia arabo islamica. Era stato eletto e la Fratellanza aveva sposato la nefasta idea di libere elezioni, nel bene o nel male. Riad abbandonò Morsi al suo destino e gli preferì un generale. I generali, si sa, sono sempre fedeli e chiudono la bocca a chi ha troppi grilli per la testa. Anche in quel caso restammo a bocche semicucite. Qualche timida condanna ma, in fondo, sempre meglio un generale di un islamista.
Per la casa regnate dei Saud, non meno che per gli emirati più o meno democratici del Golfo, tutto va bene purché non si metta in discussione la monarchia. Per i Saud la posta vale doppio perché la casa regnante è anche la custode dei luoghi sacri e dunque legittimata a rappresentare la Umma, la comunità dei credenti. I Saud sono soliti dare una mano ai gruppi radicali e rompere gli equilibri ma poi son pronti ad abbandonare i loro protetti quando possano diventare una minaccia, anche ideale, al loro ordine costituito. Avvenne ieri con bin Laden, oggi con la Fratellanza. Aiutano la nascita dei mostri e poi, quando crescono troppo, lasciano che a pensarci sia Washington, sempre pronta, come noi, a dare all'untore islamico.

Rohani. A Riad non piace
Se per i Saud e le monarchie del Golfo il potere delle proprie case regnanti è l'ossessione numero uno, l'ossessione numero due è l'Iran. L'Iran è un mostro peggiore per sauditi e golfisti assai più che per noi e gli americani. Perché sono sciiti? Anche, ed è una storia che viene da lontano. Ma soprattutto perché sono potenti, colti e intelligenti e da sempre cercano di affermare il loro ruolo di potenza regionale. Fermate le primavere arabe, col nostro tacito consenso, fermate le ingerenze negli emirati (vedi Bahrein), fatta fuori – col nostro aiuto – la scheggia impazzita Gheddafi (per nulla prono ai voleri dei Saud), adesso restavano però  da sistemare Iraq e Siria, dove soffia il vento della rivolta e dove l'Iran sta mettendo troppo lo zampino. Eppoi prima c'era quel perfetto imbelle di Ahmadinejad ma adesso con Rohani la musica è cambiata, tanto che Usa e Ue lo stanno a sentire. Correre ai ripari: l'Iraq è dominato dagli sciiti in quel disastro che gli americani han combinato entrando come un'elefante nella delicate cristalleria degli equilibri locali. E in Siria, guarda guarda, l'Iran gioca sporco aiutando Assad con Hezbollah, così come fa in Libano (ma li c'è Israele che contiene). Bisogna agire, ma come?

Ecco che arriva lo Stato Islamico e le sue sigle e siglette. Come per i talebani e la loro marcia rapida e vittoriosa in Afghanistan dal Pakistan, arrivano per loro soldi, armi e mezzi. Possibile che abbiano rubato all'esercito iracheno 30, 40, 50 blindati o Humwee nuovi di zecca? E così mitra e lanciarazzi? Ricostruire il percorso è complesso ma è anche bizzarro che una corsa alle armi di questo genere sia sfuggita alle nostre intelligence. Non si nasconde una colonna di blindati. E qui, se volete, c'è un'altra direzione da prendere. Sapete quante armi abbiamo venduto ai Saud negli anni scorsi? Per circa 126 milioni di dollari nel solo 2013. Una bazzecola rispetto a quanto spendono in totale ma...è gente con cui si fanno buoni affari. Nel 2013 – spiega bene questo articolo di Giorgio Beretta - sono state autorizzate, nel Medio Oriente, esportazioni di armi italiane per un valore di 709 milioni di euro. In cambio, forse, si chiude un occhio.

Al Baghdadi in una foto segnaletica
americana del 2005
Tornando all'Is, adesso i Saud negano l'addebito e in effetti pubblicamente non han certo mai appoggiato questi mercenari dell'Islam. Ma la casa regnante ha chiuso un occhio e anche l'altro sulle donazioni private provenienti dalla petromonarchia dove, per dirne una, i più ricchi cittadini del regno appartengono o sono assai vicini alla famiglai reale. L'Is è del resto il rimedio formidabile per contenere l'Iran e gli sciiti. Non è dunque una guerra di religione contro gli infedeli. Non è il raffinato (seppur barbaro) progetto di jihad globale di Osama bin Laden. E' una guerra contro gli sciiti in quanto alleati inevitabili di Teheran. Ecco da dove viene l'Is ed ecco dove probabilmente va. Nessun pericolo per noi. Quando avranno ucciso l'ultimo sciita torneranno alla moschea.

* su segnalazione di un lettore, un ottimo articolo sul tema di Giandomenico Picco

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