Karzai sulla copertina dedicatagli da Time. Sotto, Shah Shuja |
In
testa il tradizionale qaraqul,
sulle spalle il colorato chapan,
per molti è stato soltanto un capo di governo elegante. Ma Karzai è
stato soprattutto un “animale politico”, come gli riconosce Ahmed
Rashid, l'autore di Talebani
e
Caos
Asia.
Un politico scaltro, che ha governato un Paese complicato per 13 anni
senza rimetterci la pelle; che ha incassato borsoni pieni di denaro
sia dalla Cia sia dall’Iran, ammettendo tutto con disinvoltura e
rimanendo in sella; che ha voluto combattere la guerriglia dei
Talebani chiamandoli “fratelli”; che è sopravvissuto grazie al
sostegno della comunità internazionale e degli Usa ma criticandone
l’operato. Salito al potere il 22 dicembre del 2001, come chairman
dell’amministrazione
nata dalla Conferenza di Bonn, nominato presidente ad interim nel
2002 da una Loya
Jirga
(Gran consiglio), eletto nel 2004 e poi nel 2009, negli anni si è
scrollato di dosso l’etichetta di “sindaco di Kabul” che i
detrattori volevano affibbiargli. E si è costruito una rete di
potere economico e politico talmente ampia da garantirgli un ruolo
decisivo anche dopo che si è chiuso il sipario sulla sua presidenza.
Prima di abbandonare, è tornato sui suoi cavalli di battaglia,
sostenendo che quella afghana è «una
guerra straniera che si combatte sul nostro territorio»,
e che se non c’è pace «è
perché gli Stati Uniti non l’hanno voluta».
Pace
e rapporto con gli Usa sono sempre stati i suoi cardini e
l'occasione di polemiche, sia con mullah Omar – che lo definiva un
pupazzo - sia col maggior alleato e che un giorno lo osannava,
l'altro lo denigrava. Ma sapeva quale eredità lasciare. Non quella
di re Shah Shuja, che Londra rimise sul trono per scongiurare
nell'800 le mire russe e persiane, motivo per cui ha ingaggiato con
Washington una tenace battaglia sul Bsa, l'accordo strategico (siglato martedi) la cui
firma in calce non voleva fosse la sua. Esce di scena da nazionalista
forse ancora indispensabile per la rete di conoscenze all'estero e
la capacità comunque di dialogo anche coi tanti nemici con cui ha
sempre dovuto fare i conti. Nell'ultima trattativa ha fatto un passo
indietro e nell'ultimo discorso ha lasciato un segno emotivo forte
che gli consegna uno dei capitoli più drammatici della storia
dell'Afghanistan. Presto per dire come riapparirà. Certo che
continuerà a contare.
* a quattro mani con Giuliano Battiston
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