Ribaltando ogni previsione il candidato dell'opposizione
Maithripala Sirisena ha clamorosamente battuto – in elezioni
considerate regolari e trasparenti – l'ormai ex presidente dello
Sri Lanka Mahinda Rajapaksa, da dieci anni a capo dell'isola che
costituisce la punta finale del subcontinente indiano. Un morto e
qualche incidente minore da registrare: un record in positivo che ora
costituisce un primato.
Opposizione
in realtà è una parola grossa. E anche “ex presidente”
potrebbe esserlo. Sia perché Sirisena fa parte dello stesso partito
di Rajapaksa – lo Sri
Lanka Freedom Party -
e sino a qualche mese fa era ministro nel suo governo, sia perché
non è ancora chiaro cosa sarà la“transizione morbida” appena
promessa dal perdente. A cui va comunque reso un merito: aver
riconosciuto la sconfitta sin dalle prime proiezioni che davano
Sirisena sopra il 50% e lui appena oltre il 40. E averla accettata
sin dalle prime ore del mattino, quando Colombo si è svegliata dopo
essere andata a letto – a urne chiuse – col peso dell'incognita
di una controversa elezione, voluta da Rajapaksa con due anni
d'anticipo sulla scadenza naturale e dopo un emendamento
costituzionale che gli ha consentito di correre per un terzo mandato.
La
strana e inaspettata vittoria elettorale di Sirisena comincia dunque
ieri mattina verso le 11 quando l'auto scura di Rajapaksa lascia la
residenza su Galle Road per raggiungere il palazzo presidenziale. Lì
davanti c'è solo qualche curioso e diversi agenti della sicurezza
in divisa e in borghese che bloccano la larga arteria che dal
lungomare porta a palazzo, nella zona di “Fort”, parte antica e
coloniale della città. La capitale è vuota come durante il voto
perché per tre giorni negozi, scuole e uffici restano chiusi. Non
c'è ombra di traffico e nemmeno lo schieramento di polizia che era
lecito aspettarsi. Mancano solo sette ore al trionfo ufficiale di
Sirisena che alle sei del pomeriggio viene ritualmente insediato con
una cerimonia pubblica nella grande piazza dell'Indipendenza, dove si
affollano monaci buddisti, famiglie della classe media e tutta la
diplomazia della capitale. Sfilano i parlamentari e i leader
politici. Sirisena arriva per ultimo. Rajapaksa invece resta a casa,
in disparte.
Bagno
di folla sì, ma con numeri davvero piccoli se comparati a
un'affluenza alle urne che in certe aree è volata oltre il 70%,
percentuale che si è vista anche nel Nord tamil, regione in guerra
per anni con Colombo e poco propensa a infilare la scheda nell'urna.
Tre, quattromila persone si accalcano sotto un palco enorme
sovrastato dal tetto a pagoda allungata della vasta piazza. Silenzio
quando passano alcuni azzimati deputati e un lungo applauso
all'arrivo di Sirisena, un signore dall'aria vagamente dimessa e che
non ha proprio l'aura del leader roboante e pigliatutto che è stata
invece la cifra di Rajapaksa. Per dirla tutta, l'applauso popolare
più vigoroso lo strappa forse Sarath Fonseka, il generale prestato
alla politica che nel 2010 aveva sfidato proprio Rajapaksa e che,
dopo la prova elettorale, benché eletto in parlamento, è stato
giudicato da una corte militare e si è fatto tre anni di galera.
Grandi applausi anche per i leader religiosi con la tunica monacale
arancione o bordeaux. Un abito non sempre compassionevole: fra loro
ci sono anche personaggi poco rassicuranti, come i monaci guerrieri
del Bodu
Bala Sena,
organizzazione radicale e identitaria vicina al regime e che oggi
forse non aveva molto da festeggiare.
Quando
la piazza si svuota e cala il buio sul primo giorno dopo il voto,
tutti i dubbi riaffiorano. Si, certo, tra tutte le persone cui viene
chiesta un'opinione, tutti sono per Sirisena, dal barbiere tamil al
manager singalese, dal negoziante al civil
servant.
Ma quanto le cose cambieranno? Quanto le promesse fatte dal palco
faranno strada in un Paese ancora dilaniato sia dalle ferite di una
guerra durata oltre vent'anni anni con un bilancio di 100mila morti
sia dalla condizione amara in cui vivono le minoranze – etniche e
religiose, tamil e musulmane – il cui voto è stato determinante
(nel 2010 i tamil in gran parte disertarono le rune) per sconfiggere
Rajapaksa?
Sirisena
viene dallo suo stesso partito e di quel partito è stato persino
segretario. Può darsi che non gli piacessero i modi spicci del
presidente e forse nemmeno i suoi accenti ipernazionalisti, ma è un
fatto che - qualcuno dice - la sera prima era a cena con lui e il
giorno dopo ne era l'avversario. Il sospetto di un accordo non è
forse peregrino. Larghe intese in salsa curry.
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