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Le tensioni tra i due Paesi, al di là delle guerre (1947-1965-1971) o degli “incidenti” (Kargil 1999), non sono mai mancate neppure in tempo di pace. Una pace armata. Nel 1986 ad esempio, l’Operation Brasstacks, condotta dall’India in Rajastan al confine occidentale col Pakistan, mette immediatamente Islamabad in allarme: Delhi del resto, in quelle che ha annunciato come normali “esercitazioni”, ha schierato 600mila uomini e tutto il dispositivo della marina e dell'aeronautica. Una sorta di prova generale in caso di attacco al Pakistan. A Islamabad fanno i conti. Delhi può colpire le centrali pachistane in 3 minuti, i pachistani in 8. La tensione è alle stelle. Non è la prima volta. Non sarà l’ultima. Nel 1998, sui due fronti, si assiste a una dimostrazione di forza: cinque esplosioni nucleari in India l’11 maggio seguite da altrettante in Pakistan il 28 e da una sesta il 30. Il confronto fortunatamente rientrerà, scongiurando uno scontro tra i due colossi nucleari, ma l’episodio segna indelebilmente i rapporti tra i due Paesi che, nel 2001 con l’attacco al parlamento indiano, e nel 2008, dopo gli attentati nel cuore di Bombay, tornano a farsi bollenti: la guerra, fortunatamente solo diplomatica, agita più o meno apertamente lo spauracchio del first strike nucleare. Soprattutto nel 2001 lo spettro di un conflitto con la possibilità dell’uso di testate nucleari (circa un centinaio a testa), diventerà una possibilità reale per mesi e sarà la diplomazia internazionale a raffreddare gli animi di due Paesi retti allora da governi forti (il dittatore militare Musharraf in Pakistan) e molto nazionalisti (il Bjp al governo di Delhi). Da allora la tensione si è allentata ma il processo di riconciliazione tra i due Paesi continua ad essere in alto mare mentre non rallenta la corsa agli armamenti, un pericolo che, soprattutto gli Stati Uniti, ma anche la Russia, vorrebbero scongiurare.
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Se quella della simmetria nucleare tra India e Pakistan è la prima preoccupazione (è difficile stabilire quale delle due potenze abbia la maggior capacità di offesa) è emersa negli ultimi anni una nuova questione: ossia la possibilità che in un Paese dove la minaccia terroristica è elevata, un’eventuale vittoria dei jihadisti doti l’islam radicale della bomba nell’unica nazione a maggioranza musulmana che la possieda. Ovviamente si tratta di un pericolo teorico anche se molto temuto (recentemente ribadito da un rapporto dell’Harvard Kennedy School): attualmente la catena di comando in caso di conflitto nucleare è condivisa e porta alla National Command Authority cui è a capo il primo ministro e che è formata da cinque ministri coadiuvati dal capo di Stato maggiore dell’esercito e dai quattro comandanti delle forze armate (terra, mare, cielo, corpi speciali). Durante l’epoca di Zia – un dittatore di ispirazione islamista – la preoccupazione poteva forse essere legittima anche se il generale si limitò a usare lo spauracchio nucleare contro l’India. E’ anche vero però che Al Qaeda ha studiato un possibile piano di sviluppo dell’arma nucleare e Daesh potrebbe fare altrettanto, utilizzando infiltrati nel programma nucleare o sfruttando i legami con settori deviati dei servizi. Fittizia o reale che sia l’ipotesi, gli Stati Uniti si sono mossi per cercare un accordo simile a quello siglato con l’India proprio per attenuare le tensioni tra i due Paesi asiatici e per garantire un maggior controllo internazionale sul nucleare pachistano e sulla possibilità che sia copiato da terzi. C’è dell’altro.
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Il Pakistan è in effetti molto corteggiato, in primis dall’Arabia saudita, proprio per la sua capacità offensiva nucleare. Quando l’anno scorso il Pakistan si è rifiutato di mandare le sue forze armate nello Yemen o quando Islamabad si è dimostrata fredda all’appello di Riad nicchiando sulla sua partecipazione alla grande coalizione contro il terrorismo nata con evidenti intenzioni anti-iraniane, per i sauditi si è trattato di uno schiaffo che ha turbato le tradizionalmente solide relazioni tra i due Paesi: la presenza del Pakistan a fianco di Riad significa di fatto per i sauditi poter contare sulla capacità nucleare del Pakistan, anche solo per utilizzarla come deterrente.
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